È difficile introdurre un personaggio come Cormac O Caoimh avvalendosi del termine cantautore. L'esuberanza delle sue canzoni è infatti ben lontana dalla malinconia di molti autori country-folk o dai virtuosismi dei seguaci del finger-picking; il suo stile è molto più vicino all'eleganza di Paddy McAloon o alla policromia lirica di Paul Simon.
Prima di parlare del suo nuovo disco facciamo un piccolo passo indietro e ricostruiamo la storia. Dopo un unico album con la band The Citadels ("Letting Go Holding On", 2002) il musicista irlandese ha intrapreso un'interessante carriera solista, realizzando in completa autonomia quattro progetti tra loro diversi e complementari. Al tono grezzo e impacciato dell'esordio del 2007 ("Start A Spark") Cormac ha avvicendato nel tempo una compostezza armonica e una poetica sempre più intensa, che si è prima adagiata su ordinarie sonorità acoustic-folk ("A New Season For Love", 2012), per poi incrociare un raffinato adult-pop che assecondasse le elaborate strutture ritmiche e armoniche delle sue composizioni.
Accompagnato dalle splendide fotografie di William Crowley, il terzo album "The Moon Loses Its Memory" (2014) ha raccolto plausi critici importanti. Il piacevole mix di chamber-pop, jazz, folk, bossa e indie-pop del musicista è stato infatti paragonato dalla stampa inglese alle creazioni di nomi illustri come Elvis Costello, Lloyd Cole, Hothouse Flowers, David Gray e Damien Rice.
A tre anni di distanza, Cormac O Caoimh si ripresenta con una vera e propria session-band pronta ad assecondare la sua nuova dimensione stilistica, più incline a quel pop inglese che a cavallo tra gli anni 80 e 90 ha rinnovato la canzone d'autore.
"Shiny Silvery Things" si apre con il delizioso uptempo di "Second Hand Clothes", una canzone ricca di riflessioni sullo scorrere del tempo e sull'inafferrabilità di quella fugace felicità che a volte può regalare un ricordo o un sorriso: "Lp poggiati su una vecchia fotografia suonano chiari e puliti ma le tue tracce preferite sono graffiate", canta Cormac, catapultando l'ascoltatore in un viaggio nel tempo dove aleggia con grazia l'influenza di Paddy McAloon.
Tutto l'album è caratterizzato da un susseguirsi di piacevoli citazioni, tra duetti vocali con Aofie Regan ("Have You Built Yourself Well", "Big Mirror") che rimandano ai migliori Deacon Blue, pulsioni dance alla Hipsway ("Proud") e fragili folk-song che sembrano uscire da un sogno in cui i Belle And Sebastian incontrano i Prefab Sprout ("Born").
Cormac O Coaimh fa sue le intuizioni di quella moltitudine di autori abili nell'incrociare piccoli racconti quotidiani con l'estatica bellezza della poesia ("Hey You"), dando forma a raffinati miniature di pop sinfonico ("Silence And Sound") e suggestive canzoni d'amore e d'amicizia ("Tea In My Teacup", "Lampshade Things").
Briciole di soul ("In The Hollow Of An Old Oak") e raffinate tentazioni jazz ("A Parked Car") contaminano il già variegato songwriting del musicista, mentre la title track osa sconfinare nel pop da cabaret dei Divine Comedy, rafforzando i richiami a quell'immaginario sophisti-pop rinnovato con vigore dagli Style Council.
La non facile reperibilità delle sue produzioni non ha comunque giovato a Cormac O Caoimh. Anche il pubblico attento e vivace di Rateyourmusic ha finora ignorato la sua esistenza, ma dopo aver ascoltato "Shiny Silvery Things" sarà difficile non prendere in considerazione la produzione discografica del chitarrista e compositore irlandese.
05/06/2017