Superati gli scogli, oltrepassata la fase della lotta per l'emersione della propria identità, l'esperienza queer di Hadreas è arrivata a un livello tale di consapevolezza del proprio essere che insistere su quegli stessi temi appare ormai superfluo, non porterebbe a nuove prospettive e analisi. Forte dell'appoggio e della complicità del suo compagno Alan Wyffels (qui rievocato nella commossa chiusura del lavoro, in una ballata notturna dall'arrangiamento cinematico), il Perfume Genius del 2017 è una persona quantomeno equilibrata, conscia della sfide che le si parano di fronte ma abile nell'affrontarle con la dovuta serenità, senza che queste impattino troppo sul suo cammino di vita. In effetti è stato lo stesso singolo di lancio, "Slip Away", per cui è stato girato un video dalle fortissime nuance bushiane, a farsi tramite della nuova filosofia, artistica come di vita, del suo autore: per quanto banale in apparenza, l'invito a scrollarsi di dosso le influenze tossiche del mondo circostante, a costruire un idillio indifferente alle pressioni altrui, si traduce in un'esuberante corsa melodica a perdifiato, in cui le esplosioni di percussioni e synth contrassegnano tutta la gioia di un'esistenza condotta secondo le logiche del cuore, priva di filtri calati dall'alto. È un'esuberanza, sonora quanto di penna, tutt'altro che limitata a un singolo episodio: con l'ausilio di una compagine strumentale ricchissima, capace di esprimersi al meglio tanto nei momenti di ampio spolvero compositivo quanto in quelli in cui è richiesta maggiore sottigliezza e lavoro di fino, la scrittura di Hadreas si scopre inventiva e curiosa come mai prima d'adesso, ne elabora il presente e il futuro con la potenza di un amore smisurato, di una vitalità irrefrenabile, che giustifica tutto il fasto allestito per l'occasione.
C'è da sorprendersi per come Perfume Genius abbia, più o meno inconsciamente, fatto sua l'eleganza preraffaellita insita nelle armonie strumentali degli Shelleyan Orphan e l'abbia sfruttata per la sua canzone ritmicamente più sostenuta di sempre, quella "Wreath" in cui l'anima catartica del testo si riflette nell'intensità atmosferica della musica, un'ascesa limpida (contrassegnata dall'a-testualità vocale della seconda metà) verso un altrove fatto di estasi ed amore puro. E quando ai tocchi (comunque discreti) di sintetizzatori si sostituiscono partiture di archi e commenti di chitarra, affiorano come d'incanto intricati ma agili bozzetti baroque-pop, in cui il cantautore dà sfogo al suo estro compositivo. "Valley" maschera il suo leggiadro andamento da valzer ottocentesco trasfigurandolo in mini-suite pop, stracolma di suadenti inserti di violini, e provvista di un notevole crooning di Hadreas, tutto preso nell'interrogarsi quando la sua normalità verrà interpretata allo stesso modo dal mondo circostante.
In "Go Ahead", d'altra parte, l'autore zompetta sulla drum machine in asincrono, si rivolge con calma e contegno a chi vorrebbe contraddirne i modi e lo stile di vita ("What do you think?/ I don't remember asking"), mantiene un ferreo controllo su di sé anche laddove il fitto ricamo cameristico prevedrebbe una maggiore sontuosità interpretativa. D'altronde, come lo stesso titolo suggerisce, non vi è una forma prestabilita, ed è quindi un esercizio inutile cercare di trovare un fil rouge stilistico per un lavoro tenuto invece insieme da un solido e coerente impianto tematico.
Anche laddove si assiste a una maggiore essenzialità formale, e i toni si placano, ogni legame col passato è stato letteralmente spazzato via: in "Die 4 You", ad esempio, tra le più grandi canzoni d'amore degli ultimi quindici anni (supportata da un magnifico e sensualissimo video diretto da Floria Sigismondi), Hadreas si avvale di una chitarra, una tastiera e pochissimo altro e costruisce una portentosa torch-song dall'anima soul, in cui l'ipotetica oscurità dell'arrangiamento si stempera nel trasporto e nel calore emanati dalla voce dell'autore, ormai tutt'altro che ripiegato su se stesso. Di rimando, è un romanticismo spettrale, ma proprio per questo assolutamente reale, ad animare le armonie vintage di "Sides", in cui la voce di Weyes Blood bilancia con le sue qualità spirituali la ricerca terrena (contraddistinta dalle chitarre più aggressive della collezione) di Perfume Genius, sempre più innamorato e cosciente di esserlo.
Se quindi il neoclassicismo spiritato di "Choir", una sarabanda di archi senza sosta, acuisce i riferimenti bushiani nel momento di massima rarefazione vocale, "Run Me Through" completa un portfolio ricchissimo di soluzioni giocando su un tema compositivo dal taglio prog, sostenuto da una maggiore teatralità (di stampo quasi walkeriano) e da una struttura di nuovo cangiante, in cui l'arrangiamento muta a seconda dei più piccoli slittamenti di umore (seguendo in questo senso la lezione di Laura Nyro).
Mike Hadreas è finalmente giunto a casa sua, e come ogni casa che si rispetti essa reca impressi i segni di chi la abita. Non vi è più spazio per la commiserazione, e la rabbia ha ceduto il passo a una più profonda comprensione (quando non un superamento) delle difficoltà insite nell'essere individuo queer nel 2017. Liberatosi dai fardelli di una vita, e con un'ispirazione potentissima derivante proprio da questo cambio di marcia, il mastro profumiere della musica a stelle e strisce ha composto la più appassionata e appassionante ode all'amore e alla diversità, in un album che non faticherà a ergersi a piccolo grande paradigma. Di certo, in una contingenza storica tutt'altro che lieta, un'opera del genere suona quasi come il punto d'arrivo cui ciascuno di noi dovrebbe aspirare.
(16/05/2017)