Hanno ucciso il pop-rock. Dapprima senza darlo a vedere, tendendo le mani, producendosi in abbracci fraterni, mostrando sorrisi che dichiaravano comprensione, vicinanza, giovinezza, poi infilzando in maniera ripetuta una serie di rime, ritornelli, motivi dalle parvenze corali, ossessive eppure morbide, tutte somiglianti tra loro. L'effetto è stato ipnotico, perché ha saputo catturare la collettività, a discapito di qualche rara protesta. Fate una prova: accendete la radio, sintonizzatevi su qualche emittente che professa long live rock 'n' roll e verrete investiti da una lunga, forse infinita, teoria di cori da stadio, anticipati da una strofa occasionale, che magari parte in sordina e poi va in crescendo, su fino al culmine, come un trampolino propiziatorio, il tutto sostenuto da una sezione ritmica piatta, dritta; a quel punto la canzone, o quel che rimane dell'idea di una canzone, avrà concluso il proprio tragitto e avrà lasciato lo spazio alla Ola.
Hanno ucciso il pop-rock, probabilmente il più ampio segmento di musica popolare degli ultimi cento anni, scrigno ricolmo di segreti, dolcezze, arte e artigianato, voli pindarici, audaci tentativi di unione di ambiti e generi considerati lontani, e l'hanno trasformato in un'eterna colonna sonora per spot pubblicitari. Chi è il colpevole? I musicisti in primis, certo, l'industria che li ha sostenuti in cerca di scappatoie per evitare la crisi, ma anche i cosiddetti addetti ai lavori, improvvisamente sordi, disattenti, forse impegnati in tutt'altro (compreso l'umilissimo scriba qui presente, eufemisticamente generoso di fronte a prove agghiaccianti di vecchi e più giovani protagonisti del fu pop-rock, che fa ammenda e si vergogna di taggare simili testimonianze inconfutabili di crimini passati quasi sotto silenzio, quando non acclamati), e i tifosi che in quanto tali si bevono tutto, cercano giustificazioni, si aggrappano al più piccolo brandello pur di non crollare, per non essere costretti a fare retromarcia, pur di non alzare bandiera bianca.
Ma oggi forse si è aperta una breccia, una speranza, un'ipotesi di salvezza. A offrircela su un piatto d'argento non potevano essere che loro, i quattro moschettieri del pop-rock dell'ultimo quarantennio, i cavalieri senza macchia e senza paura, con i quali, come scriveva una rivista sul finire degli anni 80, "si può piangere, ridere, pregare, fare tutto, perché sono tutto, perché in fondo siamo noi". Gli U2 che, sul finire dell'anno, proprio a due passi dall'albero di Natale, probabilmente per riallacciare ancora una volta i fili della spiritualità, ci presentano il loro nuovo disco, che potrebbe risultare un'opera epocale, un punto e a capo, uno snodo fondamentale per le sorti della musica pop-rock. "Songs Of Experience", da non confondere con il "Songs Of Innocence" di due stagioni or sono, ma potrebbe essere un'impresa, tipo le sette fatiche di Ercole, è il sunto definitivo del delitto perfetto perpetrato ai danni del buon gusto, l'apoteosi del pop omologato, plastico, corale, privo di un qualsivoglia cambio di marcia, in cui gli elementi caratteristici che hanno reso celebre un suono, hanno alimentato fama, gloria e leggenda, sono ridotti a caricature, a piccoli richiami in codice, quasi subliminali: il sospiro mitico di Bono, le vocali che si allungano, ed è come sentirsi abbracciati, protetti, e poi la splendida infinite guitar di Edge che fa capolino qui e là, ah che bello!
Sembra ieri, ma son trascorsi diciassette anni. Erano ripartiti all'alba del 21esimo secolo con la restaurazione soleggiata, ma ben protetta da occhiali da sole, di "Beautiful Day", a cavallo di un soul fasullo con le prime, temibili aperture corali. Nel giro di tre lustri gli accendini sono spariti dalle arene, ma sono spuntate le luci degli smartphone ("There is a Light") a immortalare il solito dispendio di retorica bonista: l'amore è tutto ciò che ci rimane, wow!? Con la voce che a un certo punto viene trasformata dall'autotune, perché gli U2 cercano sempre nuove strade, non sono mai paghi, vogliono essere sempre freschi. Tradotto: gli U2 vogliono rimanere al passo con i tempi che hanno contribuito a creare, non intendono fermarsi, cercano sempre la pole position, ma sono quasi due decenni che devono vedersela con i Coldplay di Chris Martin, ed è una gara veramente "avvincente", proprio come la Formula 1 attuale: quando Chris si ferma ai box, per pulire il pianoforte dal frullato di zucchine e ginger, ecco che Bono sornione, ma rapido come una volpe, chiama a raccolta i suoi prodi e si mette a sospirare da par suo in metropolitana, per un nuovo e spontaneo abbraccio collettivo.
Perché gli U2, e i Coldplay, o chi volete voi, la lista della spesa è sempre più lunga, peggio per voi, perseverano nella costruzione di "canzoni" che sembrano guardarsi allo specchio, che vengono modellate, arrotondate al punto da risultare atroci esperimenti di lifting? Che gli U2 vogliano invece ammonirci sui rischi della vanità a tutti i costi e in barba al tempo che se va? Nel 2031 Bono svelerà l'incredibile esperimento trentennale effettuato della sua band, ossia l'attualità del "Ritratto di Dorian Gray"? Magari sì, ma prima telefonerà a Chris Martin e, proprio come avvenuto la scorsa estate, gli chiederà: che ne dici se prima di un Hey! che anticipa un più lungo e corposo Heeeeeyyyy!!!, ci infilo una strofa propedeutica simil-rock, simil-aggressiva e poi chiudo con un simil gospel? Poi, incredibile, ho tirato fuori questa roba pazzesca, nella quale il ritornello è composto dal titolo della canzone, di quelli lunghi, che stiracchio, mentre Larry sotto pompa e ho pensato di collegarla al pezzo seguente, che è uguale, come una linea continua, un mini-concept sonoro, ma è più sexy con un po' di ohhhh e ahhhhh, mentre Edge arpeggia e io vado di rima suggestiva "All Night, All Right, Your Fight", che dici Chris, come la vedi?
E poi tieniti caro il mio Martin, che stavolta l'ho fatta grossa: ho chiamato Lamar e gli ho fatto recitare due-tre frasi di quelle forti, che aprono il definitivo atto d'accusa a Trump, perché l'America non è un paese ma "it's a sound, of drum and bass, close your eyes and look around, it's a sound!" Capito? Vabbe', poi c'è anche Gaga che ci fa i cori mentre annuncio la nuova "Summer of Looooooveeee", perché "I've been thinking about the west coast" ma è un'altra cosa Chrissy... E poi... E poi basta, che poi ti conosco, che mi freghi le idee. Sentirai che sorprese! Come? Certo che c'è la chitarra di Edge, in una canzone l'abbiamo sparata a tutto volume, anche se non avevo un ritornello pronto e al suo posto esclamo Sometimeeeessss almeno una trentina di volte, e alla fine sembra che il ritornello ci sia!? E te ne devo dare atto, questo l'ho imparato da te, ragazzo mio. Ti ho anche dedicato una canzone: "You make it look so good, A little more better, Look so good, Just a little more, little more", una robina anni 60, però riattualizzata, sbarazzina come piace a noi quando vogliamo fare gli sbarazzini.
Ah, metteremo anche delle bonus, con un paio di brani in versione più disco, perché questo è un album di protesta, di amore, di gioia, di tutto quello che vuoi, e deve entrare in ogni momento della tua vita. Perché "Love Is All We Have Left" e dobbiamo riprendercelo. A proposito, ma dov'è il dentifricio? Chrissssss?!?!
10/12/2017