La carriera della cantante statunitense Christina Aguilera nasce come teen-idol sul finire degli anni 90, sulla scia del successo planetario di Britney Spears. L’esordio col botto di “Christina Aguilera” (1999) - grazie al traino poderoso del singolo “Genie In A Bottle” - la fa diventare la nuova gallina dalle uova d’oro delle major. Entrata immediatamente nell’alveo delle popstar di successo - non contenta dei circa otto milioni di album venduti - tenta rapidamente di sfondare nel mercato spagnolo con “Mi Reflejo” (2000), per poi trasformare le accennate allusioni sessuali degli esordi nel ben più esplicito porn-pop di “Stripped” (2002).
Nascondere il vuoto di idee, distraendo con altri elementi che nulla hanno a che vedere con la musica, l’aiutano a diventare un’icona pop del decennio 2000-2010. La successiva discografia la vede tentare nuove strade alla disperata ricerca di piacere a tutti i costi, vera schiavitù del mercato discografico: prima l’immagine ripulita da pin-up anni 40-50 del revival di “Back To Basics” (2006), poi il tentativo di stare al passo con le nuove popstar come Lady Gaga o Katy Perry con “Bionic” (2010) e “Lotus” (2012), l’hanno portata a una serie di tonfi commerciali (e neanche a dirlo artistici) che hanno suggerito una lunga pausa di sei anni; pausa tra l’altro ben retribuita, visto il ruolo di giudice che ha rivestito per tre anni nel format televisivo più reazionario mai creato, il talent-show.
E la reazione sembra ancora l’unica molla che spinge Christina Aguilera a registrare nel 2018 il suo ottavo Lp, “Liberation”. Nonostante le svariate collaborazioni - tra cui spicca quella di Kanye West - è sempre la noia a prevalere nei quindici brani (ancora una volta troppi, ma pur sempre meglio dei venti di “Stripped” o dei ventitré di “Back To Basics”). Con un canto che sembra imitare le vecchie hit di Anastacia (“Maria”), ondeggiamenti nell'hip-hop (“Accelerate”), ballate tremendamente zuccherose (“Deserve”) e persino una traccia blues-rock (“Sick Of Sittin'”), Aguilera sembra dare un contentino a tutti, alla ricerca di un consenso che manca da anni. Anche i testi appaiono in perfetta linea col pensiero occidentale dominante della coltivazione di un ego smisurato onnipotente, che non deve avere alcun limite di fronte a sé.
È interessante notare che un album tanto conservatore (nonostante il titolo) inizi con un’intro sinfonica ("Liberation") che è totalmente estranea alla carriera della Aguilera e che avrebbe fatto sperare in un prodotto molto meno convenzionale; se si dovesse cercare qualcosa di buono, si potrebbe trovare solo nel piano e voce di “Twice” o nella potenziale hit di “Fall In Line” - con la voce di Demi Lovato - che ha il merito di unire melodia e pathos. Il resto è troppo mieloso quando si tratta di ballad che si fa fatica a distinguere tra loro, troppo palesemente falso quando cerca di accodarsi alle più recenti mode trap. D’altronde da chi si occupa di presenziare al “regno” della totale omologazione spersonalizzata (i talent show), non era lecito attendersi slanci di sincerità o tentativi di guardare davvero dentro se stessi. Il video di “Accelerate”, palesemente soft-porn con un brano che è davvero dura portare a termine, è da tutti i punti di vista emblematico dei limiti dell'artista di New York.
Liberazione? Da cosa? Certamente non dalle asfissianti regole del mercato né dal suo ruolo da star (nonostante la cover con viso acqua e sapone). Probabilmente è soltanto l’ennesimo cambiamento di facciata a cui la Aguilera ci ha abituati da quasi venti anni.
27/06/2018