Disattivati gli ologrammi, tolta una volta per tutte la maschera, non rimane che l'ingombrante figura di Damon Albarn a condurre per mano il vascello fantasma dei Gorillaz verso ulteriori orizzonti sonori. Vecchi o nuovi? O meglio, per intenderci: “The Now Now” è un passo in avanti nella storia di un progetto per definizione fuori dal comune (e da ogni logica precostituita) o al contrario una capriola all'indietro, quasi un tradimento rispetto agli ideali megalomani che hanno sempre illuminato la creatura nata dalla matita di Jamie Hewlett? Questo è il dilemma, e non è di poco conto, considerando il peso specifico del personaggio – quello vero – in questione e la natura del progetto – quello virtuale - che da oltre tre lustri depista fan e critica e si propone di riscrivere le regole dello showbiz. Ma forse è meglio procedere con ordine.
Anzitutto, non si può certo dire che in “The Now Now” manchi l'effetto sorpresa. Scritto interamente da Albarn – o dal suo alter ego immaginario 2D, se preferite - nel corso del lungo tour mondiale, il sesto album della cartoon band è sotto ogni punto di vista quanto di più distante si possa concepire rispetto all'affollato baccanale di “Humanz”. Se un anno fa l'obiettivo era portare ogni singolo elemento alle estreme conseguenze (il sound, il numero di ospiti, la campagna di marketing, la caratterizzazione degli alter ego virtuali), oggi la parola d'ordine è normalizzazione. Annunciato senza grandi proclami, registrato nell'arco di un solo mese, epurato da effetti speciali e contraddistinto da un esiguo numero di collaborazioni, “The Now Now” è per molti aspetti l'album più lineare mai partorito a nome Gorillaz. Ma ciò non significa che sia necessariamente anche quello meno ambizioso.
In antitesi rispetto all'opulenza stilistica e chiassosa di “Humanz”, nel quale aveva sostanzialmente deciso di mantenere un profilo basso e un ruolo di secondo piano, il neo-cinquantenne Albarn esce allo scoperto e mette la sua poetica al servizio dei Gorillaz come mai probabilmente aveva fatto sino ad ora. Per quanto il trittico iniziale sia quasi un compendio della storia della band britannica – troviamo nell'ordine il funk sornione di “Humility”, con ospite George Benson, l'upbeat robotico di “Tranz” che evoca l'immaginario di “Plastic Beach”, e ancora la parentesi techno/hip-hop di “Hollywood” con special guest Snoop Dogg e Jamie Principle – è la nuova consapevolezza che Albarn ha di sé come songwriter a prendere il sopravvento nel corso della scaletta. Tra un uptempo e l'altro, con una “Lake Zurich” proiettata verso scenari futuristici e una “Sorcererz” invero piuttosto trascurabile, a brillare sono il malinconico soul di “Magic City” e soprattutto la luce soffusa eppure cristallina di una “Idaho” che rappresenta l'apice indiscusso della nuova arte Albarn-iana: la melodia sopra il frastuono, l'essenziale prima della sovrapproduzione. L'accentazione malinconica torna nelle atmosfere rarefatte di “One Percent” e nel beat agrodolce di “Souk Eye”, senza dubbio preferibili a una “Fire Flies” che sembra un B-side scartato dal disco solista.
Messi insieme i pezzi, restano i dubbi sulla natura di “The Now Now”. Un album solista camuffato da lavoro dei Gorillaz, oppure un album dei Gorillaz dominato dalla personalità del leader? Probabilmente nessuna delle due cose, o forse entrambe. A forza di darsi il cambio, l'artista Damon Albarn e il personaggio 2D hanno finito per diventare inscindibili. Almeno per un istante, almeno per oggi.
08/07/2018