Sulle prime sembrerebbe la solita canzonetta pop orecchiabile e sbarazzina, un motivetto da ballo messo in piedi per intrattenere i fan più inossidabili. i#Invece, ad ascoltare con attenzione il ritornello del singolo di lancio, "Dancing", ci si accorge che Kylie Minogue sta sottilmente giocando con l'idea di venire a mancare, coprendo con un velo d'incertezza l'altrimenti ferrea volontà di pensare positivo:
When I go out
I wanna go out dancing
Il fascino della sua musica è sempre stato un gioco di veli e di specchi. Quei due occhioni azzurri l'hanno aiutata a districarsi con agilità tra centinaia di nuove leve anno dopo anno, ma al contempo, con le sue frequentazioni ai piani alti del pop d'autore, la Sig.ra Minogue ha messo in piedi un canzoniere di tutto rispetto, composto anche di momenti particolarmente intensi, che le hanno poi assicurato il suo eterno posticino nella Storia del Pop. Anche se l'idea dietro a "Dancing" non è proprio delle più originali, il pezzo strappa comunque un sorriso.
Ma da un decennio a questa parte, la musica di Kylie si è gradualmente spersonalizzata dalle vicende personali per trasformarsi in una sindone che si limita a interpretarne giusto un'idea tramite quel che le viene proposto - è dai tempi di "X" che da lei non otteniamo molto, oltre alla solita manciatina di singoli radiofonici. Del resto, dopo 30 anni di carriera in costante movimento, Kylie non è certo "una di noi", quanto piuttosto una splendida cinquantenne ancora libera e fresca come una rosa, emancipata da tutto e da tutti, ma per questo anche sola di fronte al futuro - giusto un paio di anni fa stava quasi per sposarsi, e invece anche stavolta la relazione è naufragata in un mare di silenzi e rimpianti. Ed è proprio questo spaccato di vita che potrebbe dare a Kylie un inedito punto di vista: una vita paurosamente slacciata dall'imperante dovere di "mettere radici", un inebriante senso di libertà col quale osare qualunque cosa. Ma Kylie non ha più voglia di compromettersi, preferisce vivere a spasso per il mondo circondata da amici famosi e feste private in hotel di lusso, che di certo non è una cattiva idea, ma sul modo in cui vengono concepiti i suoi dischi aleggia pesante lo spettro di un vetusto ufficio di A&R (
artist & repertoire, ovvero il team di persone all'interno di un'etichetta discografica che sopravvede allo sviluppo artistico di un prodotto).
Così, in fila dietro a
Lady Gaga,
Miley Cyrus e
Justin Timberlake, anche Kylie dall'Australia è approdata a Nashville (?), alla ricerca di un'onesta atmosfera country con la quale poter cantare di vita vissuta con fare più consumato e veritiero, ma il risultato ha un che di scolastico e stereotipato a tratti davvero deprimente. La stessa Kylie firma tutti i pezzi in scaletta, il che spiega la deriva dance-pop di certe basi più
electro, ma questo non basta a rendere il disco un esperimento riuscito - emblematica "A Lifetime To Repair", spaccata in due tra una strofa country fatta col pilota automatico e un arioso ritornello pop chiaramente
minogueiano. Con "Shelby '68", poi, si ricrea il più stereotipato immaginario romantico da viaggio
on the road, mentre il sempre troppo rassicurante
Jack Savoretti arriva a trasformare "Music's Too Sad Without You" in un duetto da copione generalista.
E poi c'è "Raining Glitter", che fa il verso ai fasti
disco-pop dell'era di "Fever", ma avrebbe giovato di una produzione più sintetica e futuribile. Comunque la si giri, su dodici tracce del disco (più le quattro della versione
deluxe), le vicende biografiche dell'autrice vengono sommerse in un pop lezioso e stucchevole che ne affossa tutto il pathos.
Se l'intento di "Golden" era quello di fare del ritornello accalappia-orecchie il punto focale dell'opera, allora lo scopo è stato raggiunto - come in un disco di
Carly Rae Jepsen o di
Taylor Swift, la costruzione formale della perfetta
pop song viene eseguita come un Vangelo. La versione video dell'altro singolo "Stop Me From Falling" è stata "latinizzata" con l'aggiunta dei Gente De Zona, visto che ormai dopo il plateale successo di "Despacito" anche il mondo anglosassone è stato preso d'assalto dal tormentone estivo di turno. Ci sono poi una piacevolmente ondeggiante "Golden", il ritornello a prova di bomba di "One Last Kiss", la delicatezza acustica di "Radio On", e una "Love" messa in piedi con Dolly Parton nel cuore - tutti pezzi orchestrati al dettaglio, semplici e assimilabili all'istante, che possono anche funzionare come ascolto svagato e primaverile ma che, alla fine della corsa, rimangono comunque sullo sfondo.
Anche facendo finta di non aver ascoltato il terrificante
disco di Natale, "Golden" non è proprio un album eccitante, scorre sicuramente meglio rispetto ai precedenti "Aphrodite" e "
Kiss Me Once", ma aiuta comunque a formare un trittico di lavori sbiaditi, scontati e fatti più per abitudine che per genuino bisogno di voler dire qualcosa.
Ed è questo il boccone più amaro da ingoiare per chi segue Kylie Minogue: l'immagine di una donna rimasta prigioniera nella botte di ferro della propria carriera. Che la Nostra sappia fare il mestiere della popstar ormai è assodato, lo si era capito almeno dall'aprile del 1990 quando uscì la mitica "
Better The Devil You Know", ma nell'anno 2018 la formula avrebbe bisogno di una svecchiata; Kylie ha tutto ai suoi piedi, le manca solo la voglia di mettersi in gioco.
25/04/2018