Nothing

Dance On The Blacktop

2018 (Relapse)
shoegaze, post-grunge

Sono due le direttrici entro le quali si muove il terzo album dei Nothing. Da un lato il voler perseverare lungo quei sentieri shoegaze e post-grunge già ben battuti nei due precedenti lavori, e su questo versante il quartetto di Philadelphia avrebbe poco da aggiungere rispetto a quanto già ottimamente prodotto sinora. Dall’altro lato i ragazzi si impegnano a rendere le proprie composizioni più fruibili, smussando quasi tutte le asperità, ma restando inequivocabilmente sé stessi. Di nuovo il processo compositivo parte dall’ennesima disavventura abbattutasi su Domenic Palermo, uno che sa come costruire i dischi sulle proprie disgrazie. Dopo il carcere e le botte da orbi a fine concerto (elementi dai quali mosse per elaborare “Guilty Of Everything” e “Tired Of Tomorrow”) ecco ora una sgradita diagnosi clinica: la contrazione di una complessa malattia neurodegenerativa, intercettata in fase ancora embrionale.

Saremo destinati a perdere anzitempo il songwriting di Palermo? Oppure sono soltanto storielle studiate ad arte per colpire l’attenzione? Nel frattempo possiamo scoprire i nove testi nichilisti che compongono “Dance On The Blacktop”, album che registra l’ingresso del nuovo bassista di colore Aaron Heard e la conferma di John Agnello in cabina di regia. La cascata di chitarre iper-distorte in “Zero Day”, dove fortissima è la radice Smashing Pumpkins, fissa subito il mood generale, ma lo zenit del disco va colto nell’estasi shoegaze di “Blue Line Baby” e “(Hope) Is Just Another Word With A Hole In It”, entrambe con incipit chitarristico da restare di sasso. Le delizie per chi si sente orfano degli anni 90 non mancano di sicuro, ma rispetto al passato questa volta i Nothing puntano con maggior determinazione sui ganci melodici, sempre ben supportati da vagonate di effetti azionati da Palermo e Brandon Setta, co-autori di tutte le tracce.

Azzerata la componente hardcore degli esordi, restano brani brillantemente radiofonici (“You Wind Me Up” è l’hit che i Dinosaur Jr. stanno ancora cercando di scrivere) e malinconicamente “pop” (“Hail On Palace Pier” è il perno di una sezione centrale particolarmente friendly). “Dance On The Blacktop” guadagna così il titolo di album più “easy” sin qui prodotto dai Nothing, sebbene l’alt-pop disseminato in ogni composizione venga sempre scartavetrato da muri di Marshall.
Talune frasi-tormentone (“Everything’s grey”, ripetuta all’interno di “Us/We/Are”) ci riportano in quei grigi pomeriggi che resero Seattle un trademark (anche “I Hate The Flowers” si aggira grosso modo da quelle parti) e l’unica vera pausa da tanto fragore giunge con l’atmosfera notturna della penultima traccia, “The Carpenter’s Song”, dedicata al padre di Domenic, affogato pochi anni fa dopo un incidente in bicicletta (pare avesse seri problemi di tossicodipendenza).

Se molti storici shoegazer sono ritornati di recente al centro della ribalta, è anche grazie al richiamo suscitato da giovani band come i Nothing, giunte a un livello di autorevolezza tale da far riaccendere i riflettori su un genere musicale che sembrava inesorabilmente destinato all’oblio. Non c’è niente di nuovo in “Dance On The Blacktop”, elemento che potrebbe porre questo disco su un livello lievemente inferiore rispetto agli altri pubblicati in passato, ma i Nothing confermano di non avere molto da invidiare ai capolavori dei "classici", riuscendo a piazzare anche questa volta uno degli album più elettricamente intensi dell’anno. Hanno imparato la lezione di Slowdive e Nirvana (nomi citati per unire il lato shoegaze a quello grunge), l’hanno digerita, metabolizzata, fatta propria e risputata al mondo, diventando fra i più bravi a ricreare quelle atmosfere che tanto hanno – e abbiamo - adorato.

02/09/2018

Tracklist

  1. Zero Day
  2. Blue Line Baby
  3. You Wind Me Up
  4. Plastic Migraine
  5. Us/We/Are
  6. Hail On Palace Pier
  7. I Hate The Flowers
  8. The Carpenter’s Son
  9. (Hope) Is Just Another Word With A Hole In It






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