Provenienti dall'assordante tonfo di "The Astonishing" i Dream Theater avevano un grosso vantaggio. Era quasi impossibile fare di peggio. Il nuovo amletico "Distance Over Time" ritorna al progressive metal e in effetti risale parzialmente la china, mostrando che nel quintetto potrebbero esserci ancora barlumi di vita e forse di speranza. Intanto c'è l’intelligenza di non ripetere gli stessi errori di ridondanza eccessiva, riducendo drasticamente durata e numero di tracce: cinquantasei minuti al posto di centotrenta e dieci brani al posto di trentaquattro.
La grandezza dei Dream Theater è stata sempre quella della tecnica estrema di tutti i musicisti, con virtuosismi maniacali che rappresentano totalmente la loro cifra. Di conseguenza l'accusa frequente di una loro freddezza, oltre a essere tendenzialmente infondata, è anche illogica. "Distance Over Time" coglie pienamente questa duplicità (da sempre presente in tutta la loro discografia, che alterna Lp più marcatamente metal ad altri più morbidi), dividendosi quasi a metà tra queste due anime; da una parte il loro classico marchio di fabbrica, fatto di strenui inseguimenti tra Petrucci e Rudess, dall'altra ricerche melodiche che avevano già detto tutto negli anni 90 con "Metropolis Pt. 2: Scenes From A Memory" (ad esempio, con "The Spirit Carries On").
"Distance Over Time" trova quindi nuova vitalità nelle tracce più complesse, in quei vortici di tempi dispari che sono i momenti di maggiore libertà compositiva della band. "Pale Blue Dote" e "At Wit's End", con le loro fughe strumentali iper-tecniche, rappresentano probabilmente il meglio che oggi la band di Petrucci possa regalare.
Ma anche quando il riff di "Fall Into The Light" ricorda da vicino i Metallica, siamo a buoni livelli anche emotivi, ma il brano sarebbe stato ottimo se fosse finito al quinto minuto, prima del forzatissimo assolo di Rudess. Per il resto il sound è quello tipico dei Dream Theater post-2000, con buone parti strumentali e la voce di La Brie che non dà l'impressione di aggiungere granché. Ascoltare episodi come "S2N" (finalmente si sente il basso di Myung) fa sorgere il dubbio che se i Dream Theater si dedicassero maggiormente a brani esclusivamente strumentali (come nel vecchio progetto Liquid Tension Experiment) forse non farebbero male. Discorso simile si potrebbe fare per l'iniziale "Untethered Angel", che si salva dal terzo minuto nella parte centrale strumentale.
In "Room 137" viene tristemente utilizzato il vocoder, "Out Of Reach" è una tipica ballata, mentre "Paralyzed" - il brano scelto come singolo - è simile a ormai troppe canzoni dei Dream Theater degli ultimi 20 venti anni. La bonus track è "Viper King", che ha il pregio di chiudere con spensieratezza un Lp che si spera possa dare nuova vita alla band di Petrucci.
24/02/2019