Anche più del clamore passeggero delle alte classifiche, avere un brand sonoro dall'appeal trasversale e le giuste amicizie è decisamente più vitale, per un producer dalle finalità pop. Se a ciò si aggiunge un talento effettivo e la capacità di saperlo applicare ai più disparati timbri vocali, si è fatto tombola. Sotto questo punto di vista, “99.9%” aveva già esplicitato a dovere la trascinante miscela, sampledelica e funk, di uno stile produttivo caldo, avvolgente, così istintivamente armonico da avvalersi già del supporto di validi e apprezzati vocalist. Pubblicato senza particolari battage pubblicitari, “Bubba” è l'ideale seguito al disco che ha contribuito a segnare sulla mappa il nome del musicista haitiano/canadese, lavoro che amplifica le direttive popular del precedente full-length e si avvale di un organico vocale ancora più sostanzioso, teso a fare del progetto un'effettiva collezione di canzoni, piuttosto che un campionario di (pur ottimi) beat con qualche intrigante tratto melodico giustapposto sopra. A giudicare dai tanti bei momenti dell'album, la strada presa è quella giusta.
È essenzialmente in due aspetti, tra loro collegati, che “Bubba” si presenta come progetto più solido e avvincente del precedente. Da un lato il minutaggio medio dei brani è drasticamente ridotto, fatto che consente alla sequenza di brani di sfilare veloce, flessuosa, scattante come il migliore dei dj-set. Dall'altro la giusta alternanza tra momenti strumentali e canzoni vere e proprie dona all'ascolto la dovuta andatura, tale da concedere necessari momenti di respiro e permettere ai tanti, lussuosi contributi vocali di risaltare con maggiore efficacia. C'è di che leccarsi i baffi, effettivamente: sopra i suoi suadenti tratteggi sonori, ancora una volta protesi a un eccitante blend di linee house, slancio funk e torsioni electro, il cast vocale qui chiamato è una vera e propria summa di vent'anni di urban anglofono, condensati attraverso un profilo melodico variegato, atto a valorizzare ogni voce messa in campo.
È così che gli influssi boogie che informano “Gray Area” possono affiancare la funktronica vibrante di “10%” (con una Kali Uchis sempre in ottimo spolvero), che l'eleganza austera di Charlotte Day Wilson riesce a completare la pensosa deep-house di “What You Need” e che due glorie dell'r&b anni Zero come Estelle e Teedra Moses sanno impreziosire i due momenti più lussuosi e atmosferici del lotto (“Oh No” e “Culture”).
Poco importa se non tutto funziona alla perfezione, se una superstar come Pharrell viene chiamata per un momento electro-cajun sì estivo e frizzante, ma tutto sommato alquanto privo di mordente melodico: con i giochi funk'n'b di “The Worst In Me” (che mettono in risalto la caratura espressiva di Tinashe) o le lussuose prelibatezze post-disco di “Scared To Death”, Kaytranada riesce a sopperire con classe alle leggere sbandate di traiettoria, piazzando numeri eccitanti e strutture trascinanti ad ogni angolo. Pur con l'effetto sorpresa giustamente dissipatosi, il producer prosegue insomma su una strada di raffinata e scintillante coerenza, irrobustita da piccoli ma efficaci cambiamenti. Che le porte della produzione mainstream possano infine schiudersi?
30/12/2019