I migliori Ep soul e r&b di inizio 2018

Nove ascolti dell'anima

Inutile negarlo, tra i fruitori di musica dell'era streaming il formato album sta lentamente perdendo d'importanza, portando con sé tutti i decadimenti e i rinnovamenti del caso. Non solo, ma con l'accesso gratuito a giganteschi database digitali contenenti milioni di canzoni, il panorama contemporaneo si è trasformato in uno sconfinato oceano di musica nel quale è fin troppo facile perdersi o decidere direttamente di gettare la spugna. Sia da parte del consumatore che dell'industria e dei musicisti interessati nasce quindi spontanea una domanda comune: come ovviare a tale situazione? Risposta univoca ovviamente non esiste, ma al momento pare che il caro vecchio extended play stia (ri)assumendo un ruolo di vitale importanza all'interno del panorama discografico.
Il motivo è tutto sommato semplice: l'Ep è sia un valido punto fermo tramite il quale l'artista può presentare al mondo il proprio operato, che uno snello contenitore di musica più facilmente digeribile per l'ascoltatore interessato a scoprire nuovi artisti. E anche l'industria ha il suo tornaconto, dal momento che l'Ep è meno dispendioso da mettere in piedi e meno ufficiale da promuovere - questione di non poco conto anche per le grandi etichette che li producono, dal momento che con le enormi fratture economiche all'interno dell'industria discografica causate dallo streaming gratuito, arrivare all'album può essere un processo troppo lungo e che non garantisce comunque ritorni sicuri. Meglio quindi andarci cauti e fare le cose passo passo, sostengono alcuni.

Così l'Ep al momento è diventato una tappa quasi forzata per farsi le ossa mentre si raccolgono i consensi necessari per andare avanti, e questo discorso vale soprattutto nel caso di tutti quegli artisti che si muovono al di fuori dalle attuali mode dance-pop da classifica e ambiscono ad una qualità non necessariamente "condivisibile". Questa tendenza sta sicuramente dando i suoi frutti nel campo di certo r&b alternativo e delle varianti del vecchio soul riaggiornate via elettronica per le sempre affamate orecchie del pubblico moderno. Nel corso dell'ultimo paio di decenni i generi in questione si sono trasformati in un esperanto che ha travalicato i confini del terreno americano per andare a spaziare dal Senegal al Canada e dall'Inghilterra alla Francia e alla Corea, catturando l'amore degli ascoltatori più attenti e creando un microcosmo di nomi in ebollizione i quali - si spera - un giorno riusciranno tutti a fare il grande salto. Senza intenzione di completismo alcuno e senza gerarchia d'importanza, qui sotto raccogliamo alcune uscite degli ultimi mesi che più ci hanno stuzzicato e incuriosito.

cdwsw_02Charlotte Day Wilson - Stone Woman (autoprodotto)

Lo sguardo interlocutorio, il volto acqua e sapone e una voce solitaria ma suadente nella sua pacata eleganza: la canadese Charlotte Day Wilson è la sophisticated-lady del momento, una songwriter spiccatamente intimista assolutamente da scoprire per chiunque si porti ancora nel cuore la Jessie Ware di "Devotion" o la Rosie Lowe dell'intenso "Control". Ma questa è solo una prima impressione. Sappiamo anche che, grazie a uno stage negli uffici della celebre Arts & Crafts di Toronto, Charlotte è arrivata a lavorare con Daniel Caesar e i BadBadNotGood dell'acclamato "IV" (il pezzo era "In Your Eyes"), ampliando il proprio pubblico e facendosi al contempo un'idea del panorama discografico e dei mezzi necessari per potersi muovere a sua volta - sia il precedente Ep "CDW" del 2016 che questo nuovo "Stone Woman" sono uscite indipendenti, con Charlotte in qualità di autrice, polistrumentista e produttrice (ma c'è comunque la batteria di Alex Sowinski dei BadBad a dare quel tocco di jazz).
"Stone Woman" si legge quasi come un libro: la trama è la fine di una storia d'amore, raccontata da Charlotte in sei tracce di impeccabile electro-soul dalle acustiche trame jazzate. La title track è come un mantra impreziosito da finissimi rintocchi sintetici dove l'autrice sembra quasi volersi svegliare dal torpore che l'ha resa emotivamente inerme. Con la successiva "Doubt" si arriva subito al cuore: andamento placido e quasi sinfonico, ma che s'inerpica verso un finale di batteria in grande spolvero con hi-hat ovunque, gorghi di chitarre e la voce che viaggia su trame circolari - uno stile scarno ma ricco di accorgimenti e complementare al significato del testo. Il perfetto equilibrio tra acustico e sintetico fa della successiva "Nothing New" una piccola miniatura di sconsolata bellezza, mentre per "Let You Down" i sentori si fanno notturni e più urbani, salvo poi aprirsi in una delle melodie più soul dell'intero progetto. Molto bella pure la languida confessione a cuore aperto di "Falling Apart" arricchita da spesse coltri di lounge, ma il pugno allo stomaco lo dà la conclusiva "Funeral", melodia di cristallo e un testo di nichilismo post-moderno talmente spietato che non starebbe male in bocca alla regina delle depressioni post-Xanax per eccellenza, Lana Del Rey. In sostanza, un ascolto di rigore per questo 2018. (Damiano Pandolfini)

rlcRavyn Lenae – Crush (Atlantic)

Tra le più giovani e frizzanti leve di quel rinascimento (art-)soul che da anni sta portando alla ribalta degli appassionati tanti nuovi interpreti della musica dell'anima, Ravyn Lenae è probabilmente quella che ha le maggiori chance di compiere il grande balzo negli anni a venire. Soli 19 anni, con un buon parterre di Ep alle spalle, l'autrice di Chicago coniuga l'effervescenza vocale di Erykah Badu ed Ella Washington (con cui condivide il cognome) per il suo progetto coming-of-age, in cui poter parlare di crescita e maturazione con tutta la severità e la confidenza necessarie.
Flessuose chitarre funk, affascinanti groove di basso e trascinanti sezioni ritmiche (courtesy of Steve Lacy, qui anche nei panni di vocalist) tengono il progetto a debita distanza dalle ultime correnti electro, concentrandosi su incastri compositivi particolari (gli accenni psichedelici di “Closer (Ode 2 U)”, gli effetti jangle della successiva “Computer Luv”) ed esaltando la particolarità delle linee vocali (memorabili gli stacchetti del singolo “Sticky”), per un lavoro che contribuisce a dare nuovo lustro all'epoca d'oro della soul-music. Il momento della ribalta potrebbe essere molto vicino. (Vassilios Karagiannis)

abzAnaïs - Before Zero (Virgin)

Una vita in movimento, dalla natìa Francia al Senegal (la patria del padre), poi a studiare a New York al prestigioso Clive Davis Institute of Recording Music (in classe con Arca e Gallant) e infine un approdo a Londra, dove Anaïs Aïda al momento vive e lavora. Un processo lungo e una famiglia già ampiamente avviata, ma quel sogno nel cassetto mai abbandonato, e la maturità nel sapersi prendere tutto il tempo per trovare il proprio suono e legarlo a un immaginario calzante (semplicemente splendidi i video annessi per "Nina" e "Set In Stone") fanno delle quattro tracce di "Before Zero" un ascolto di songwriter/soul semplicemente superiore per scrittura, interpretazione e produzione.
Se l'accorata dedica a Nina Simone di "Nina" si muove su un torrido sentiero a cavallo tra Solange e Corinne Bailey Rae, "Set In Stone" azzarda un andamento percussivo più spinto, dove è la voce di Anaïs a prendere il sopravvento con ferma dolcezza. Ma l'incanto di "Before Zero" vive anche nelle altre due tracce presenti, tramite una "Window" che volteggia come il più romantico dei valzer e una cover della celebre chanson "La mamma" di Charlez Aznavour, trasportata in un melodrammatico minimalismo di violini ed elettronica. Un lavoro intimo, elegante e spiccatamente femminile, che fa di Anaïs uno dei nomi ancora sconosciuti più promettenti del momento. Con queste premesse, l'attesa per l'annunciato album di debutto - dal possibile titolo di "Zero" - sono sopra le stelle. (Damiano Pandolfini)

hbHeize – Wind (Baram) (CJ E&M)

In un'industria musicale come quella sudcoreana, che difficilmente si apre al lancio di carriere soliste, il successo e la considerazione di una personalità come Heize costituiscono la felice, quanto necessaria, eccezione alla regola. Polivalente sia nei panni di energica rapper che di sottile interprete r&b, per il suo quarto Ep l'autrice e compositrice predilige quasi esclusivamente la seconda strada, per sei brani che mettono in mostra il suo diligente fiuto melodico e la notevole sensibilità espressiva.
Equamente ripartito tra placide ballate (“Didn't Know Me”) e più interessanti motivi mid-/uptempo, “Wind” coglie un'artista in fase di sperimentazione e rinnovamento, presa a riempire le sue delicate armonie r&b tanto di consistenti elementi jazz (la splendida “Jenga”), quanto di brillanti controsterzi electro (“Wish You Well”, assieme al co-produttore e arrangiatore Davii), efficaci nel supportare il fascino istintivo delle melodie. Il pianoforte retrò della conclusiva “MIANHAE”, sospesa tra umori soul e stacchi hip-hop, è la ciliegina sulla torta di un prodotto eclettico e raffinato, che spinge in avanti la ricerca linguistica e compositiva di un'autrice ricettiva e in piena forma; senz'altro si può annoverare Heize tra le migliori interpreti urban coreane del momento. (Vassilios Karagiannis)

sbrttsSt. Beauty - Running To The Sun (Wondaland)

Da casa Wondaland - l'imprint di Janelle Monáe sotto Epic - ecco finalmente l'Ep di debutto delle chiacchierate St. Beauty (all'anagrafe Alexe Belle e Isis Valentino), due giovani figliole totalmente perse in un mondo Insta-vintage fatto di colori pastello e filtri da vecchie foto sbiadite di figli dei fiori a pascolo sui prati - del resto con 7 tracce e 3 intermezzi, "Running To The Sun" è quasi un mini-album che sembra richiamare gli anni del vinile. Non mancano comunque riferimenti più moderni, che uniti a una bella dose di beata gioventù fanno del tutto un progetto simpatico e alquanto peculiare: due belle voci piene e tonde che si complimentano a vicenda, una produzione minimale giostrata tra sintetizzatori assolati e delicate drum machine, l'immancabile ospitata del rapper di turno (Deanté Hitchcock sulla sonnolenta "Tides") e una manciata di belle linee melodiche art-soul chiaramente devote al lavoro di Solange e Blood Orange.
I singoli di lancio avevano comunque già creato la giusta curiosità attorno al progetto; "Caught", con le sue linee concentriche, e "Not Discuss It", con la sua delicata sensualità, sono stati due momenti di puro electro-art-soul capaci di accendere i riflettori sul duo e farsi notare da tutti gli amanti del genere. E fortunatamente il resto dell'Ep non delude, dall'emotività di "Borders" agli echi dancehall di "Colors" che riescono a mettere in moto la fantasia, pur distanziandosi di netto da qualsiasi trend radiofonico. Non mancano ovviamente i tributi a due nuove dive dell'alt-r&b contemporaneo che sono chiaramente fonte di ispirazione per i giovanissimi di oggi: il bel ritornello di "Stone Mountain" mostra una chiarissima ispirazione nella SZA di "The Weekend", mentre su "Lucid Dream" appare lo spettro melodico della madrina Janelle Monáe, che chiaramente è ben più di una semplice casualità. Mezz'ora scarsa di vibrazioni calde e assolate con cui coccolarsi. (Damiano Pandolfini)

jsptaJeong Sewoon – Part. 2 After (Starship Entertainment)

Emerso ancora teenager dalle file del talent K-pop star, il ventenne Jeong Sewoon è uno dei volti più freschi del pop coreano, un nome decisamente spendibile per gli anni a venire. Di certo la seconda parte del suo primo Ep d'esordio, per quanto non mostri chissà quali ventate di innovazione, tuttavia presenta sufficienti tratti per far intravedere una personalità in procinto di sbocciare definitivamente, una sensibilità melodica che lo tiene a debita distanza dalla media kitsch di tanti suoi compatrioti, per abbracciare un urban-pop più delicato e sommesso, non per questo privo di sfumature e varietà.
Se indubbiamente negli episodi più lenti e moody c'è ancora bisogno di trovare una quadra che elevi Jeong a balladeer più personale e incisivo, nondimeno quando si passa ai momenti upbeat e a più decisi incastri stilistici, affiora con maggiore decisione il talento del cantante, speso tra puliti motivi dai delicati contorni electro-r&b (“Baby It's U”, dall'andamento molto classico; la più moderna “IRONY”, costellata di brevi inserti trap) o in semplici ma efficaci incontri al crocevia di pop, elettronica e jazz (la conclusiva “Close Over”, brano che testimonia come il sudcoreano sappia farci anche con arrangiamento e produzione). Un disco più corposo consentirà di apprezzare al meglio le qualità del giovane, nel mentre si dispone comunque di un prodotto leggero e arioso. (Vassilios Karagiannis)

pafPoppy Ajudha - FEMME (autoprodotto)

Giovanissima, capelli corti e sguardo da cerbiatta un po' alla Dolores O'Riordan, si è fatta le ossa in supporto al recente tour europeo di Jamila Woods, dalla quale ha sicuramente preso anche qualche idea circa le manipolazioni elettroniche da applicare al proprio songwriting. Ma il vero punto di riferimento di Poppy è la concittadina Amy Winehouse, e questo suo modo di cantare con timbro profondo e vissuto sicuramente lo conferma - basti ascoltare "Where Did I Go?", elegante ballata che si muove su sognanti sezioni di violini e una chitarra jazz.
Nella sua interezza "FEMME" non è comunque un lavoro poi troppo vintage (anche se la buffa copertina a fumetto potrebbe far pensare altrimenti) - ci troviamo piuttosto di fronte a un intermezzo e quattro jam di puro urban-soul da consumarsi tra parchi e marciapiedi metropolitani. "Spilling Into You" (con la presenza di Kojey Radical) arriva sorretta da caldi strati di synth e un refrain altamente cantabile, i decostruiti echi afro-funk di "Tepid Soul" cullano dolcemente l'aria, mentre la conclusiva "She Is The Sun" giunge come un'ode corale e spassionata.
Nulla di troppo nuovo forse, ma i semi di un buon talento si scorgono già tutti, e con "FEMME" Poppy Ajudha porta alta la bandiera della musica dell'anima concepita all'interno di scenari urbani, a suo modo non poi così distante dal verbo propagato dalla sempre bravissima concittadina Fatima. (Damiano Pandolfini)

mkfyioMoss Kena - Found You In '06 (Colt Club Records)

Non si sa molto di Moss Kena al momento, se non che è britannico ed evidentemente è ancora giovanissimo: il titolo "Found You In '06", infatti, è dedicato a "Back To Black", il famosissimo secondo album di Amy Winehouse che all'uscita ebbe un forte impatto emotivo sull'autore in questione al punto di spingerlo a dedicare la sua vita alla musica. Non v'è comunque alcuna concessione al jazz o agli ottoni vintage tipici di Amy, la matrice sonora di Moss Kena è una sorta di electro-soul in punta di piedi con evidenti richiami a Prince per l'uso del falsetto (il bel singolo "Square One") e altri momenti più eterei che richiamano l'How To Dress Well del periodo di "Total Loss" (vedasi "You Dont' Know").
La presenza della rapper Leikeli47 su "Spend Some Time" aumenta le quotazioni urban, mentre il pezzo si giostra su un sornione melodismo alla Timberlake. Chiudono il cerchio l'implorante "Games" e il midtempo pianistico di "Problems" sulla quale Moss sfodera acuti degni di un Gallant, ma sono entrambi pezzi capaci di mostrare sia una buona capacità di scrittura che un'interpretazione giovanile ma già abbastanza personale.
Voce calzante, produzione curatissima e un melodismo sicuramente molto popolare ma anche pregno di quell'ansia giovanile tipica del primo Weeknd - magari non ne verrà fuori nulla, ma Moss Kena potrebbe rivelarsi un nome capace di rappresentare al meglio l'Inghilterra del nuovo electro-soul, e "Found You In '06" è un ascolto troppo ben congegnato per non farsi apprezzare. (Damiano Pandolfini)

rsrRina Sawayama – RINA (autoprodotto, 2017)

Recupero in extremis per una delle uscite più significative della passata stagione, a cura di un nome destinato a essere molto chiacchierato. Nata in Giappone, ma trasferitasi da piccolissima a Londra, la musicista concepisce uno degli amalgami più eccitanti e frenetici degli ultimi tempi, frullando in un unico coloratissimo blend scorie noise-pop, eccentriche derive chitarristiche, giocose chincaglierie electro e nostalgiche melodie r&b, memori sia dei successi più grintosi di Destiny's Child e Brandy (“Take Me As I Am”) che dell'approccio più romantico di Hikaru Utada e delle sue mille emule (“Ordinary Superstar”, la pacatezza minimal di “Tunnel Vision”, in compagnia di Shamir).
La sofisticata e schizoide co-produzione di Clarence Clarity innegabilmente ha influito nel conferire ai brani questa estrema giustapposizione tra futuristico e nostalgico, il tocco soul e emotivo delle interpretazioni e dei testi (volti a interrogarsi sulla vita digitale e sull'utilizzo dei mezzi informatici) conferisce alle articolate confezioni sonore spessore e umanità, dinamismo e un pizzico di tristezza. Capolavoro dell'eccitante collezione pop'n'b il crescendo melodico sul chiudersi di “Alterlife”, probabilmente il migliore riassunto di un biglietto da visita tra i più accattivanti e speciali degli ultimi anni. (Vassilios Karagiannis)

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