Mettiamo subito i puntini sulle i: se immaginavate che il nuovo album dei King Gizzard & The Lizard Wizard fosse il tanto atteso capolavoro della formazione psych-rock di Melbourne, lasciate questo sogno nel cassetto. “Infest The Rats’ Nest” è però destinato a risollevare non poco le quotazioni della band, forte di un linguaggio thrash-metal che lascia decisamente senza fiato, grazie a una sequenza incessante di riff in quantità industriale, tempi ritmici veloci e un cantato gutturale che scandisce i toni dell’intero album.
I due estratti che hanno anticipato l’uscita del quindicesimo album hanno sollevato qualche leggero dubbio, con commenti perentori sul singolo “Organ Farmer”, giudicato il peggior brano della loro carriera, ma quello che i ragazzi australiani hanno messo a punto è l’ennesima perfetta macchina da guerra… per un sano divertimento.
In passato la band aveva lambito l’energia del thrash metal, solo che questa volta tutto vira decisamente verso sonorità ancor più familiari per i fan di Slayer, Metallica o Motorhead, al punto da trasformare l’ensemble psych-rock in una virtuale cover band.
Fedeli agli ideali stilistici, i King Gizzard & The Lizard Wizard estremizzano la loro visione futuristica, immaginando un’apocalisse ecologica senza nessuna possibilità di salvezza per l’umanità. La musica stessa diventa vittima della pochezza ideologica che per la band sta spingendo il mondo verso l’ignoto: tutto è elementare, violento, estremo.
Sono solo trentacinque minuti che, a tratti, mettono in evidenza un calo d’ispirazione, ma che nello stesso tempo risultano tonificanti e interessanti, grazie alla sempre vivida ironia di Stu Mackenzie, al tocco brillante del chitarrista Joey Walker e all’infaticabile Michael Cavaghan, che ha praticamente sostituito gli altri cinque membri della band, momentaneamente impegnati altrove.
Come sempre è la premessa concettuale l’elemento che sopperisce alle immancabili défaillance di una produzione copiosa come quella dei King Gizzard & The Lizard Wizard. Ed è proprio la coerenza espressiva che fa di “Infest The Rats’ Nest” l’opera più compatta della band.
Concentrando l’analisi sul contenuto prettamente musicale, va sottolineato che la festa di riff e ottusità ritmiche di “Self-Immolate” guadagna dignità all’interno della sequenza apocalittica/catartica del progetto; non si può dire lo stesso di “Organ Farmer”, né della superflua “Venusian 2”. Spetta comunque alla cascata di sonorità hard alla Metallica di “Planet B” aprire le danze con vigore, creando una tensione sonora che solo le digressioni stoner-psych di “Superbug” tengono per un attimo a bada.
Il resto è materiale altamente infiammabile, che sia lana, cotone o plastica, poco importa. A volte il tessuto sonoro è fumoso (“Venusian 1”), in qualche raro caso talmente elaborato e ricco che è difficile riuscire ad andare oltre (la spavalda “Mars For The Rich”), ma è costantemente luminoso e sgargiante (“Hell”).
Con “Infest The Rats’ Nest” la band australiana ritorna in parte ai temi di “Murder Of The Universe” (e in parte anche a “Nonagon Infinity”): pregi e difetti sono gli stessi, con l’unica differenza che mentre il vecchio concept-album ha pian piano perso fascino, questo nuovo capitolo discografico rischia di essere celebrato come uno dei loro migliori album di sempre.
Mai come in questo caso sarà il tempo a dare ragione alle diverse opinioni dei fan del gruppo: nel frattempo godiamoci questa carica d’energia in salsa thrash, che al di là di ogni dubbio rappresenta per la band solo una piacevole distrazione creativa.
28/08/2019