Moor Mother

Analog Fluids Of Sonic Black Holes

2019 (Don Giovanni)
experimental, afro-futurist noise, blk girl blues

'Schiavitù' è questa stessa donna nata in un mondo che proclama a gran voce l’amore per la libertà e lo dichiara nei suoi testi fondamentali, un mondo in cui quegli stessi professori fanno di questa donna una schiava, di sua madre una schiava, di suo padre uno schiavo, di sua sorella una schiava; e quando questa donna sbircia nel passato delle generazioni precedenti, tutto ciò che vede sono altri schiavi" .
(Tra me e il mondo, Ta-Nehisi Coates)

Se c’è un tema che accomuna tutta l’analisi del black trauma che sta emergendo a livello artistico in questi anni, quel tema è il tempo. Succede in video: penso ai film di Jordan Peele; alle uscite di Donald Glover sia in ambito televisivo ("Atlanta") che musicale ("This Is America", probabilmente il singolo videoclip più importante degli anni Dieci); allo strepitoso quanto trascurato "Sorry To Bother You" (sempre con Lakeith Stanfield, stralunato denominatore comune di tutto quanto appena menzionato). Succede per iscritto: oltre al libro di Coates, valga come paradigma il Pulitzer 2017 "La Ferrovia Sotterranea" di Colson Whitehead, racconto ucronico di un’America in cui la cosiddetta Underground Railroad - rete di rifugi segreti utilizzati dagli schiavi nella prima metà dell’Ottocento - diventa una vera e propria ferrovia. Succede in stereo, e particolarmente sottoterra: un primo esempio pratico è dato dallo spiritual jazz di Angel Bat Dawid, di cui così bene si è parlato alcuni mesi fa su queste pagine; ma soprattutto corrono alla mente la voce straordinaria di Camae Ayewa e il suo progetto Moor Mother, con cui giusto qualche settimana fa ha dato un seguito all’acclamato esordio "Fetish Bones".

In tutte queste opere, in modi più o meno espliciti, la visione del tempo che emerge è la stessa elaborata da Ayewa nel collettivo artistico multimediale Black Quantum Futurism e l’idea è che la storia e la sofferenza del corpo nero non possano essere raccontate secondo canoni occidentali di linearità.
Piuttosto, c’è bisogno di prendere il passato remoto e il passato prossimo e di renderli indistinguibili da un presente reale o alternativo, per affermare una verità scomoda e incontrovertibile: la società statunitense e il suo famigerato sogno sono costruiti sull’orrore, la prevaricazione e la rimozione di questa stessa violenza.
Nulla, in questo quinquennio, l’ha detto così bene e in modo tanto radicale quanto l’opera di Ayewa, che fosse nelle prove a nome Moor Mother, nel liberation-oriented free jazz degli Irreversible Entanglements (una vera bomba, se vi fidate), negli interventi vocali regalati al noise/dub industriale degli Zonal di Justin Broadrick e Kevin Martin. Una chiarezza di intenti che le è valsa l’attenzione, tra i tanti, di The Wire (copertina di luglio) e del festival Le Guess Who (che le ha affidato la curatela di parte della line-up 2018) e che si è tradotta, con risultati mai così esaltanti, nel nuovo "Analog Fluids Of Sonic Black Holes".

Il concetto dietro a un titolo così impegnativo rimanda ancora una volta alla fisica: un buco nero sonico è "un fluido tanto veloce da intrappolare ogni suono che cerchi di uscirne", neutralizzando così ogni velleità di protesta - plastica rappresentazione, vien da dire, di un mondo indifferente in cui tutto vale tutto, ogni giusta causa è sostituita in tempi sempre più rapidi dalla successiva, ogni istanza rivoluzionaria è disinnescata e resa innocua alla radice. L’urlo dell’artista di Philadelphia è l’estremo, disperato tentativo di far passare un messaggio attraverso la cortina - apparentemente impenetrabile - del rumore di fondo.
Tutto questo in trentaquattro minuti che solo per comodità vengono distinti in tredici tracce che paiono in realtà movimenti di un’unica suite in cui, lungo la strada, s’incontrano noise ed elettronica, gospel e jazz, dub e blues, e il cui unico riferimento possibile - così come già avveniva per il capolavoro "MITH" di Lonnie Holley, anch’esso intriso di una visione globale della storia e del tempo neri (i diciassette minuti di "I Snuck Off The Slave Ship") - sembra quello di Sun Ra. A tenere insieme istanze tanto diverse, la voce di Ayewa, che sembra capace di far esplodere tutta la rabbia di secoli di sopraffazione e, insieme, il ricordo di ciò che è stata la propria gente e la speranza per quello che potrebbe essere ("eravamo esploratori, prima di diventare schiavi", ha detto al Guardian).

A un primo ascolto, il percorso di "Analog Fluids Of Sonic Black Holes" potrebbe sembrare sconnesso e disagevole; col passare dei minuti, però, i frammenti accumulati lungo lo spazio e il tempo – solo apparentemente inconciliabili – vanno a costruire una visione d’insieme compiuta e di precisione dolorosamente chirurgica. 
Il lamento distante di "Repeater" si trasforma in un recitato alieno che affronta da subito un oppressore che ha in pugno la tua vita e la tua morte. Al fluire oppiaceo di quell'ambient dissonante fa seguito un uno-due di mostruosa fisicità: "Don't Die" è praticamente solo un titolo urlato, che suona come il pianto di ogni madre nera che abbia visto il proprio figlio ucciso da una polizia violenta cui il Sogno ha concesso ogni potere; "After Images", vertice assoluto dell’opera, è la cosa più simile a un singolo che Moor Mother possa immaginare, cassa in quattro brutale su cui – svettante su un substrato di voci gospel blues – s'innesta il predicare lucidissimo di Ayewa, la sveglia di Flavor Flav senza alcuna voglia di gigioneggiare: "Pensi che questo inferno non arriverà anche per te? Dopo che saranno venuti a prendere me, verranno a prendere te".
Lo stesso impatto si ritrova in "Black Flight" - che coinvolge Saul Williams per un breve, visionario monologo mentre il pezzo rotola giù per un rovinoso precipizio ritmico – e nella tensione montante di "Private Silence" - l'altro feat. dell'album, questa volta con Reef The Lost Cauze.

Il resto di "Analog Fluids Of Sonic Black Holes" non è altrettanto immediato. In diversi episodi ci si muove come in una versione post-apocalittica degli interludi di "I'm New Here", ultimo gioiello a firma Gil Scott-Heron - questa la grandezza dei nomi con cui Ayewa sembra potersi misurare.
"Engineered Uncertainty" e "Sonic Black Holes" trafiggono sample di voci black con dardi di puro rumore, laddove invece "LA92" infila - in meno di ottanta secondi e su una base dub sonnambula - due degli episodi che portarono agli scontri di Los Angeles del 1992: nel primo verso ("Latasha got shot over orange juice"), l'assassinio di Latasha Harling, quindicenne uccisa dalla proprietaria di un negozio che affermò che la ragazzina volesse derubarla di una bottiglia di succo d'arancia; nella seconda parte, il pestaggio di Rodney King.
"The Myth Hold Weight" e la conclusiva "Passing Of Time" si prendono invece più tempo, quattro minuti ciascuna: la prima si appoggia a un quieto drone di sfondo per farsi megafono di nuovi proclami di liberazione dal giogo del looping trauma; la seconda è tutta un meditare sulla ciclicità della storia nera su un tappeto di percussioni circolari e canti distanti, che potrebbero tranquillamente arrivare da una piantagione: "My grandmama, my great-grandmama, my great-great grandmama, they picked so much cotton they saved the world".

"Non potrete più far finta di non averlo ascoltato, perché vi avrà reso testimoni": le parole con cui Pitchfork chiudeva la propria recensione di "Fetish Bones", tre anni fa, si adattano perfettamente anche all’esperienza d’ascolto di "Analog Fluids Of Sonic Black Holes". Come Ta-Nehisi Coates nella struggente, infuocata lettera al figlio quindicenne, così anche Moor Mother ci lascia senza fiato a osservare un quadro di desolazione e oppressione che si stende lungo secoli, facendo percepire in ogni singola nota distorta ogni singola ingiustizia subìta - particolarmente a chi ha avuto la semplice fortuna di nascere dal lato illuminato della strada, quello in cui non bisogna passare il tempo a guardarsi le spalle. Nel processo di rielaborazione della rabbia, però, trova nel rumore un formidabile strumento di speranza e liberazione.

Il pelo sullo stomaco che ci vuole per distogliere lo sguardo dall’orrore del nostro sistema carcerario, dalle forze di polizia trasformate in eserciti, dalla lunga guerra contro il corpo nero non si crea da un giorno all’altro. È l’abitudine consolidata del cavare gli occhi a qualcuno e dimenticare che per farlo sono state necessarie le proprie mani.
(ibid.)

26/11/2019

Tracklist

  1. Repeater
  2. Don't Die
  3. After Images
  4. Engineered Uncertainty
  5. Master's Clock
  6. Black Flight (feat. Saul Williams)
  7. The Myth Hold Weight
  8. Sonic Black Holes
  9. LA92
  10. Shadowgrams
  11. Private Silence (feat. Reef The Lost Cauze)
  12. Cold Case
  13. Passing Of Time

Moor Mother sul web