Tropical Fuck Storm - Braindrops

2019 (Joyful Noise)
psych-blues, art-rock

Il 2019 ci porta una creatura inquieta e indomabile: il nuovo album degli australiani Tropical Fuck Storm. (Ri)nati come una fenice dalle ceneri dei Drones, volano in alto col precedente “A Laughing Death in Meatspace” (2018, Mistletone) e tornano con un album di psych-art-rock appassionante e slabbrato, una sorta di danza macabra sul nostro mondo rotto e corrotto, in cui è completamente distrutto il rapporto con la natura e le viscere della terra sprigionano le frequenze di un’apocalisse.

La band di Gareth Liddiard realizza un album meno deflagrante e dinamico rispetto al precedente, ma estremamente coerente e persuasivo nell’infiltrarsi in testa con groove sinuosi e arpeggi di chitarra ipnotici, che ci conducono lungo un funambolico tragitto sul baratro. Si parte dalla perfetta crasi, in “Paradise”, tra le cavalcate fuzz-rock della chitarra di Neil Young e le inquietudini schizofreniche di quella di Isaac Brook nei primi album dei Modest Mouse, per passare al mix corrosivo di blues, afro-beat e noise di “The Planet Of Straw Men”. Se “Desert Sound Of Venus” è come se riavvolgesse e mandasse in play a velocità ridotta le allucinazioni di Jeff Buckley in “Dream Brother”, “The Happiest Guy Around” sembra un grottesco sermone suonato insieme ai Butthole Surfers.

I Tropical Fuck Storm ci mostrano l’altra medaglia del “vitalismo" indie di band come Arcade Fire o Broken Social Scene, ripercorrendo in modo sbilenco anche i loro stilemi in un brano come “Who’s The Eugene?”, con una Fiona Kitschin che da nouvelle dark Régine e Feist canta per immagini: “You didn't drown in the water/ Or in the moron rhyme/ Or in the paint that's flakin' off/ The Hollywood sign”. I riferimenti emergono e scompaiono continuamente – perché sulle sabbie mobili niente può rimanere a galla – ma tra questi lasciano una traccia Pere Ubu, Pop Group, Birthday Party, Captain Beefheart, Dirty Three e Timber Timbre.

Con “Braindrops” i Tropical Fuck Storm creano un racconto musicale potente e suggestivo, solo apparentemente più piano rispetto al passato. Il disco si chiude col desert blues di “Maria 63” e i suoi cori gospel tra Bonnie "Prince" Billy e Low, sciolti nelle figure di batteria sfrangiate à-la Jim White e congedati dagli archi à-la Warren Ellis. Tra invocazioni e feedback, le voci portano a compimento questo rito di purificazione che forse non porterà ad alcuna salvezza: “Oh, Maria/ My work will set you free/ It’s like a gift from you to me/ By way of deception/ And you can run/ But you'll never get away/ The time is now or never”.

09/09/2019

Tracklist

  1. Paradise
  2. The Planet Of Straw Men
  3. Who’s My Eugene?
  4. The Happiest Guy Around
  5. Maria 62
  6. Braindrops
  7. Aspirin
  8. Desert Sands Of Venus
  9. Maria 63

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