Ritorna il vulcanico Rob Mazurek, musicista e artista visivo della scena di Chicago trasferitosi a Marfa, nel cuore del deserto texano, dove si trova una celebre comunità di artisti che, come Donald Judd, dall’inizio degli anni 70 hanno occupato hangar e ranch. Nonostante l’annata congelata dalla pandemia, Mazurek ha dato alla luce l’ottimo ritorno dei Chicago Underground Quartet (Astral Spirits, 2020) e l’ultimo fenomenale capitolo della (rinnovata) Exploding Star Orchestra, il primo significativo progetto musicale personale. Sono passati tredici anni da “We're All From Somewhere Else” (Thrill Jockey, 2007) e cinque da “Galactic Parables, Vol. 1” (Cuneiform, 2015), dischi nati in seno a progetti performativi con una componente significativa di improvvisazione.
Le nuove composizioni sono state scritte da Mazurek nel 2018, a seguito di un invito ricevuto dal curatore del JazzFest Berlin Nadin Deventer di presentare una inedita proposta Exploding Star Orchestra con un ensemble in parte berlinese, in parte chicagoano. L’artista le ha poi completate e ha condotto sette mesi di sessioni di registrazione in studio con vari membri della scena jazz contemporanea di Chicago tra collaboratori stabili – come Jeff Parker (Tortoise) alla chitarra, Nicole Mitchell al flauto e John Herndon (Tortoise) alle drum machine – e talenti emergenti – come Tomeka Reid al violoncello e Jaimie Branch alla tromba – insieme al poeta e cantante Damon Locks (Black Monument Ensemble) che ha curato i testi. Le registrazioni sono state editate e ricomposte in tre mesi di post-produzione da Mazurek, autore e regista di un’operazione che convoglia composizione e improvvisazione in una prova potente e organica. Il progetto, illustrato da un artwork realizzato in pittura dal compositore, è stato (ovviamente) sposato da International Anthem, etichetta che stimola e promuove le collaborazioni tra musicisti di Chicago, che aveva già sostenuto un progetto composito come “Universal Beings” di Makaya McCraven (2018, 2020).
“Dimensional Stardust” è innanzitutto una suite fantasmagorica dove jazz e psichedelia si fondono con le orchestrazioni, sul solco del classicismo moderno di “Porgy And Bess” di Miles Davis e Gil Evans (Columbia, 1959), delle opere visionarie di Sun Ra da “The Futuristic Sounds Of Sun Ra” (Savoy Jazz, 1962) in avanti e della musica “visiva” d’avanguardia di Erik Satie, Franz Liszt e Béla Bartók, con la spinta magmatica, collettiva e non lineare delle traiettorie sincroniche degli Art Ensemble of Chicago.
Il disco trattiene interamente il feel della presa diretta, ma con una scrittura articolata tramite processi artistici di ascendenza avanguardista, come l’uso della sinestesia e del collage, con l’obiettivo di creare un’opera totale tra poesia, arti performative e visive. Non casualmente Mazurek stesso si definisce “a multidisciplinary abstractivist”.
Nell’album si mescolano e confondono continuamente jazz di ogni stile, musica colta e classica novecentesca, elettronica, psichedelia e colonne sonore da film anni 60 e 70.
In “Sun Core (Parable 99)” pare di sentire gli archi degli arrangiamenti di Bjork che si sciolgono nel basso elettronico e nelle percussioni, mentre in “A Wrinkle in Time Sets Concentric Circles Reading” lo spoken-word di Damon Locks emerge da un fondo caotico e magico, come se stesse trasmettendo da un luogo lontano via radio, aprendo a poliritmi di area sudamericana, memori dell’esperienza São Paulo Underground, e melodie cristalline à-la Mazurek, cantabili, esotiche ed epiche.
Si passa dalla fanfara rituale e dall’invocazione collettiva di “Galaxy 1000” all’alternanza tra la stasi apparente delle interferenze elettroniche alle massicce figure ritmiche che accompagnano il fraseggiare obliquo della chitarra di Parker, tra Zappa e Primus, di “Careening Prism Within (Parable 43)”. Se l’orizzonte audiovisivo di “Abstract Dark Energy (Parable 9)” sono gli anni 60-70, quello di “Parable Of Inclusion” sembra il Giappone.
Il disco scorre nella sua costruzione fantastica e ultraterrena di immaginari in collisioni fino a compattarsi nello splendida elegia di “Autumn Pleiades”, finale denso e stratificato che sfuma in uno spazio molecolare al quale, dopo aver perso le pulsazioni, resta la voce.
Quarantatré minuti di pura visionarietà, totalmente libera nel pensiero e nella forma, ma estremamente attenta ed elaborata nella scrittura, in quella che salutiamo come una grande opera compiuta di Rob Mazurek.
14/12/2020