Stando alla Treccani: "mïasma, esalazione malsana, particolarmente quelle che emanano da sostanze organiche in decomposizione (cadaveri, acque stagnanti), e che in passato erano credute causa di malattie (come la malaria), di infezioni e contagi".
E' da un po' di tempo ormai che gli OvO hanno infettato con il loro malsano suono estremo la scena musicale italiana e non solo. Infezione iniziata vent'anni fa e da allora Stefania Pedretti e Bruno Dorella non si sono più fermati e con l'uscita dell'ultimo disco non sembra abbiano minimamente voglia di bloccare questo flagello. Anzi, il lavoro pubblicato per la canadese Artoffact Records - dalla bella copertina disegnata dal tatuatore londinese Michele Servadio - ce li presenta agguerriti come non mai, con l'iperattivo Dorella sempre più ossessivo e violento nelle percussioni essenziali, la Pedretti inarrestabile nella violenza vocale, miscelando ancora quel mix torvo e tribale di elettronica e hardcore.
A contribuire alla propagazione del contagio, nomi di primo calibro nonché fidati compagni di battaglia, spesso lontani tra di loro, ma tutti perfettamente amalgamati nel mefitico contesto: il grande Eraldo Bernocchi (Sigillum S, Blackwoods su tutti, compagno compositivo di lunga data di Dorella), il post-punk dei Årabrot, la trapper Gnučči (“Testing My Poise”) e Gabriele Lepera dei Holiday Inn nei deliranti e ossessivi due minuti di “Burn De Haus”.
L'iniziale “Mary Die” è il miglior modo per entrare nel brutale scenario delineato dagli OvO: il ripetuto schianto di rullante del batterista sorregge la frase del titolo ripetuta come un mantra maligno dalla vocalist, mentre le bravi pause sono solo il pretesto per ripartire in maniera ancora più spietata. Seguono i potenti singoli scelti per anticipare l'album: “You Living Lie” e “Queer Fight”. La prima incastrata tra sample acidi e taglienti e scorci apocalittici, la seconda una furiosa marcia senza sosta, con annesso video diretto da Lele Marcojanni. Se l'incontro tra la performance della cantante ex-Allun e Gnučči può non convincere a pieno, il gonfio sludge-doom di “Psora” riporta l'ascoltatore in atmosfere plumbee e impenetrabili.
Il maniacale discendere negli inferi si concede ipnotiche derive spoken – “L’Eremita” (feat. Årabrot) – per poi riprendere ritmo a velocità da “Incubo”. Concluso con “Sicosi” il trittico della fasi del “Miasma” - stando agli studi Samuel Hahnemann - è proprio la traccia omonima a chiudere degnamente l'esalazione: più che una canzone, un racconto dell'orrore dove lentamente si viene ingoiati dalle sabbie mobili.
Fedeli alla loro linea musicale, con “Miasma” gli OvO si confermano tra i massimi esponenti dalla corrente sonora estrema italiana, alfieri di un suono ancora capace di appassionare e terrorizzare.
07/02/2020