Casomai qualcuno là fuori si fosse preoccupato del fatto che John Dwyer non avesse ancora timbrato il cartellino (almeno con la sua band principale...) in questo bizzarro anno solare, l'uscita di “Proteant Threat” fa capolino tra la fine dell'estate e l'inizio dell'autunno per rassicurare sugli standard di prolificità del Nostro. Per il resto, è forse superfluo parlare della qualità sonora contenuta nell'ennesimo assalto discografico dei Thee Oh Sees, a loro volta soggetti all'ennesima storpiatura a livello di nome – ma ci siamo abituati pure a questo – e di sound, dal momento che l'imperativo sembra essere “assomigliare a sé stessi, restare uguali mai”. Tutto a posto e niente in ordine, al solito, quando si tratta di recensire una nuova uscita del progetto californiano.
Il punto è proprio questo: il genio e la sregolatezza degli Oh Sees (od Osees, stando alle nuove direttive), somministrate con tale assiduità, rischiano di non fare più notizia. È diventato del tutto normale che producano (almeno) un grande album all'anno, e così quasi finiamo col dimenticarcene, col non tenerli presente quando si tratta di fare bilanci come quelli di fine anno. Non che a loro importi molto, crediamo, ma tant'è.
La verità è che si fa un sacco parlare di psych-rock, ma pochi sono in grado di nobilitare la materia come Dwyer e soci con la stessa efferatezza, ma anche con una perizia così certosina. Nel sound degli Osees si scontrano l'impulso di lasciarsi andare e una malcelata raffinatezza di suoni e di melodie, di generi che trapassano il tessuto psicotico delle canzoni dando loro direzioni via via nuove e inesplorate.
Una volta superata la furia schiacciasassi di “Scramble Suit II”, con una potenza di fuoco di doppia batteria che evoca i Melvins, la faccenda si fa infatti ancora più interessante. La gamma di soluzioni proposte è più ampia del solito, e va dall'incedere rutilante di una “Upbeat Ritual” che sembra voler accendere a lampi il buio della notte agli echi soul-lounge di “Said the Shovel”, una sorta di porta spazio-temporale aperta sugli anni Settanta che in qualche modo fa il paio con le atmosfere pulp di “Red Study”. Lo stesso si può dire del blues mascherato di “If I Had My Way”, per certi versi la cosa che meno ci saremmo aspettati di trovare in questo disco.
“Resistono” episodi più muscolari, come la scheggia punk di “Dreary Nonsense”, la cavalcata quasi-heavy di “Terminal Jape” e quella weird di “Canopnr '74”, e ancora le marcette psych-rock “Mizmuth” e “Toadstool”, a conferire quella sensazione straniante di sentirsi “a casa” nel repertorio di Dwyer.
Va da sé che sia vietato tirare fiato fino all'ultimo respiro, con una “Persuaders Up!” che anzi torna a incalzare a velocità smodate, ma se c'è una morale che possiamo desumere da “Protean Threat” è che Thee Oh Sees non hanno rinunciato alla natura eclettica del loro sound, anzi hanno deciso di accentuarla. Il risultato finale, però, non cambia – e non delude - mai.
05/10/2020