Due anni fa piangevamo la perdita di Hardy Fox, storico membro dei Residents ormai giunti a quello che si poteva immaginare come il canto del cigno di una carriera straordinaria segnata dall'invisibilità, dall'oscurità e dai suoni più weird che la musica rock ci abbia mai regalato. Dopo “The Ghost Of Hope” (2017), “Intruders” (2018) e la scomparsa di Hardy, non era facile immaginare un nuovo album a nome Residents. Ma d'altronde chi potrebbe mai essere sicuro che una band capace di celare i propri volti e nomi per decenni non ci stia prendendo in giro per l’ennesima volta e che magari Hardy sia vivo e vegeto a programmare nuove strambe avventure residentsiane.
Eccoci quindi nel 2020 a parlare del quarantasettesimo (!) album (qualcuno direbbe ironicamente “morto che parla”) pubblicato come se nulla fosse cambiato dai capolavori “Meet The Residents” (1974) o “Not Available” (1978), se non i travestimenti (da bulbi oculari o crostacei a cani rabbiosi), con suoni simili e reminiscenze di quello stile inconfondibile che li ha contraddistinti per decenni e che rende ogni loro brano un inno assoluto al regno del bizzarro e del nonsense più ironico.
“Metal, Meat & Bone” è l’omaggio al misterioso e immaginario bluesman Alvin Snow, detto Dyin’ Dog, prematuramente scomparso nel 1976. L'ipotetico ritrovamento di alcune cassette permette alla band di ricordare un musicista maledetto, tipico bluesman da strada che non ha avuto e non avrà mai gli onori della cronaca. Il blues di Dyin’ Dog viene centrifugato e destrutturato, come già fatto in passato con band come Beatles o Rolling Stones, mantenendo però una più marcata riconoscibilità rispetto all'originale. Un viaggio nella follia e nella povertà, uno sguardo nella vita disincantata e nell’arte di un musicista che urla la realtà che ha davanti ai suoi occhi senza edulcorarla (“non ho nessuno, non ho una casa, sto solo cercando un posto dove seppellire il mio osso”), una vita da cane randagio ai margini della società, ogni giorno a tu per tu con la morte.
Da questa visione nascono “Bury My Bone”, uno dei vertici dei Residents degli ultimi anni e “DIE! DIE! DIE!”, blues apocalittico urlato, con la voce di Black Francis dei Pixies e dei testi crudeli che nel video hanno il volto di Trump. Una vita passata sempre al confine tra la vita e morte, tra il giorno e la notte, dove anche il sogno non sembra essere una pausa dalla crudeltà dell’esistente (“The Dog’s Dream”). Il disco si chiude con le registrazioni originali di Alvin Snow. Tutto è in perfetto stile Residents, senza i vertici dei loro migliori anni, ma poco importa.
Riflettendo i dubbi si sciolgono, i Residents sono figli di una dimensione parallela e, non esistendo davvero, non possono morire. Hardy Fox è ancora tra noi, ne sono sicuro.
10/08/2020