Residents

Intruders

2018 (Cherry Red)
not available

Doverosa premessa: questa non è una recensione, quanto piuttosto il pretesto per ragionare su una faccenda di ben altra portata. La questione è la seguente, e vi pregherei di pesarla con la stessa gravità con cui sto misurando queste parole: il quarantaseiesimo (!) album della band più "cryptica" di sempre potrebbe seriamente essere l'ultimo. In realtà c'è poco da esser drastici, conoscendo i tipi in esame: non arriverei a dire che Hardy Fox abbia inscenato la propria dipartita o addirittura che non sia mai esistito, ma rimane il fatto che non potremo mai essere davvero sicuri che fosse un Residente o, perlomeno, che il suo ruolo nella vicenda sia stato così centrale da affossarne le sorti, ora che non c'è più. La loro carriera potrebbe proseguire anche solo per punire l'unico eretico che ha profanato il tabù dell'oscurità e ripristinare così il buio pesto, facendo tornare tutto nel solito, capriccioso maelstrom in cui nulla può e deve riportare.

Eppure, la sensazione rimane strana. Intendo dire, i Residents non esistono. I suoni fuori fase, le vocine alterate, i Fab Four tramutati in crostacei, Dick Clark in divisa nazista, i bulbi oculari in frac & cilindro: loro forse una consistenza ce l'hanno, ma pensare che una delle menti dietro a cotanta baraonda possa spegnersi sembra fuori luogo e vagamente illogico (un po' come quel paradosso che, analizzando non ricordo quale fiaba, contesta che una creatura immaginaria possa perire). Questo gelido tuffo nella carne mortale, unica forza che può aver ragione dei loro salti carpiati concettuali, ci coglie impreparati e, perché no, ci rattrista. Non avremmo mai immaginato di poterci commuovere per la scomparsa di un provocatore iconoclasta, manco si trattasse del nostro cantautore del cuore o di una popstar sbandata: è riuscito a spiazzarci fino alla fine, il vecchio fetente.

Due parole sul disco intendo comunque spenderle, anche solo per giustificare il voto: una quarantina di minuti di navigazione a vista nelle loro acque territoriali, con Eric Drew Feldman come guardiano del faro e tutti o quasi i coniglietti mutanti che ci aspettiamo di veder sgattaiolare fuori dal cappello. Porre la cosa in questi termini è grottesco, me ne rendo conto, ma è la verità: lo stile "alla Residents" in qualche maniera esiste eccome, e questo zibaldone finisce con l'esserne l'anti-retorico mausoleo. Bisognerà quindi aspettarsi tanta fusion deformata a suon di zappate ("The Scarecrow"), qualche acuminata angolatura roots-wave (sarà per il titolo, ma "Voodoo Doll" a me sa proprio di Stan Ridgway), danze moderne per apocalissi rigorosamente non disponibili ("Frank's Lament"), marzialità sardonica ("Still Needy?" ricorda, pensa te, gli In The Nursery), marcette circensi a buon mercato ("The Other"), spoken word alla Burroughs ("Good Vibes") e centrifughe stilistiche che Igorrr in confronto pare Clayderman ("Shadows")? Sì, e più o meno basta. Quanto agli "intrusi" del titolo, da quanto è lecito capire dovrebbero essere le presenze spettrali che tormentano i loro sonni (no, i Residents non sognano pecore elettriche), e sarà per questo che le atmosfere risultano comicamente orrorifiche e grandguignolesche, anche più del solito, con un tono generale da luna park Arthur Brown-iano. Un critico mediocre, a questo punto, chioserebbe che potrebbe trattarsi di "un funesto presagio di morte", ma noi faremmo finta di non aver letto.

Toccherebbe invece intervenire, e a gamba tesa, se il mestierante di poco sopra si accanisse a sezionare il cadavere. Sì, perché le chiacchiere stile "ma ormai quello che avevano da dire l'hanno detto/ non fanno un album decente da decenni/ si sono stufati e ci hanno stufato", in questo caso, stanno sotto zero: il punto non è che ci aspettassimo un altro "Third Reich Rock'n'Roll" o "Commercial Album", ma che l'opera dei Residents costituisce un corpus unico, un organismo vivo e pulsante (seppur ricco di impianti cibernetici), una Macchina Celibe che avrebbe dovuto proseguire in eterno la sua attività meravigliosamente futile. Questa interruzione di corrente è lacerante proprio perché arriva così tardi e in modo così inatteso, cioè per i classici motivi che di solito depotenziano anziché amplificare un lutto. Se viene a mancare una persona molto anziana ci si consola tirando in ballo "la Natura", ma se brucia una biblioteca che è in piedi dalla notte dei tempi è una dannatissima tragedia. I Residents volevano sfasciare tutto, ma hanno finito col costruire cattedrali tra le più solide: il loro più catastrofico fallimento, il loro più monumentale trionfo. E' incontestabile che abbiano smesso di stupirci molto tempo fa ma, fino a prova contraria, la loro musica non nasce per quanto contro di noi: crediamo forse di meritarci qualcosa di meglio di un getto continuo di album sconclusionati come le nostre patetiche vite?

La cosa più importante, in ogni caso, finisce con l'essere un'altra: non so se ci avete fatto caso, ma dopo tutto questo tempo siamo ancora qua a parlare dei Residents, lambiccandoci senza ormai nemmeno provarci a formulare delle risposte plausibili, brancolando in quella stessa oscurità che hanno tessuto con tanta premura. Ecco, io penso che bisogna essere infinitamente grati a chi continua a tenerci la testa in attività, impedendoci di Devo-lvere in uno dei mostruosi subumani tante volte evocati dalle loro profezie, specie in questi tempi di oscurantismo sistematico e angosciante. Il resto, davvero, lasciamolo agli avvoltoi. Grazie di tutto, Hardy.

18/12/2018

Tracklist

  1. Bobbie's Burning Blues
  2. Voodoo Doll
  3. The Scarecrow
  4. Frank's Lament
  5. Missing Me
  6. Still Needy?
  7. The Other
  8. Good Vibes
  9. Endless and Deep
  10. Running Away
  11. Shadows


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