Ogni album fa storia a sé. Vale per qualunque artista, ma specialmente per i canadesi BADBADNOTGOOD, che in dieci anni tondi di carriera di ripetere di disco in disco la loro formula non ne hanno proprio voluto sapere. Dagli esordi all'insegna dell'hip-hop strumentale fino alle levigatezze soulful dell'ultimo "IV", l'unica certezza oltre all'impostazione jazztronica è stata la scarna numerazione dei titoli - certezza che crolla con questo quinto episodio in proprio, chiamato "Talk Memory".
Non è l'unica novità. In controtendenza con "IV", il nuovo Lp fa leva su un sound più notturno e tagliente, proponendo per la prima volta archi e chitarra elettrica come elementi centrali. Mentre la sei corde è gestita in-house (a occuparsene è Leland Whitty, collaboratore ricorrente e dal 2016 membro della band a tutti gli effetti), per gli arrangiamenti orchestrali il gruppo di Toronto si è affidato a un nome di indubbio prestigio: il jazzista brasiliano Arthur Verocai, autore nel 1972 di un album omonimo che, anche grazie ai numerosi sampling da parte di artisti hip-hop, si è trasformato negli ultimi decenni in un piccolo culto anche per gli appassionati anglosassoni.
Il riassestamento sonoro coincide, non a sorpresa, con una sostanziale messa fra parentesi della componente elettronica: il tastierista e fondatore Matthew Tavares aveva annunciato il suo addio alla band nel 2019, e ascoltando il disco è palese come, con lui, se ne sia andata anche buona parte della vocazione sintetica del gruppo.
Sia chiaro: hip-hop e guizzi elettronici rimangono componenti percepibili, ma "Talk Memory" è soprattutto altro. E non è un male: da tempo assai sbilanciata sul versante retro, la musica sembra qui volersi gettare a capofitto nella rievocazione dei Seventies, tracciando non si sa ben quanto consapevolmente ponti anche con stili non particolarmente alla moda. A ciascun ascoltatore il compito di individuare i propri parallelismi: si può andare dal fiammeggiante jazz elettrico dei Soft Machine (post-Wyatt, peraltro) ai tardi Tortoise, passando ovviamente per il solito saccheggiatissimo Miles e le evoluzioni più fusion di FlyLo e confratelli.
Una constatazione è però inevitabile: quali che siano le coordinate sotto cui si voglia analizzare il disco, "Talk Memory" è il lavoro più strettamente jazz (forse tradizionalmente jazz) su cui i BADBADNOTGOOD abbiano messo le mani, e scommette molto sull'ormai lampante credibilità dei tre musicisti come jazzisti, nell'accezione più standard del termine.
I brani abbondano di fraseggi swingati, rimandi modali e hard-bop, accenni spiritual jazz che evitano scrupolosamente di addentrarsi in terreni troppo avant- o free. Sotto l'andazzo cinematografico di "Beside April" (arricchito delle percussioni di Kariem Riggins) è ben percepibile l'ossatura di jazz-funk davisiano; "Timid, Intimidating" affianca i densi zigzag elettrici a un pianismo confortevolmente vecchio stampo; "Talk Meaning" (con l'arpa di Brandee Younger) si muove su un ostinato di basso dal gusto tardo-sessantiano.
Accusare la formazione nu-jazz di bieco calligrafismo sarebbe insincero oltre che fuorviante (ben vengano le riprese, soprattutto se di prelibatezze simili); vero è tuttavia che il disco si pone nell'ombra dei suoi riferimenti e raramente riesce a sorprendere. Intrattiene, suggestiona, talvolta avvince - e lo fa con innegabile classe. Tutto sommato, può bastare.
18/10/2021