Avvicinandoci sempre di più all'epilogo di questo 2021, è arrivato il momento di guardare alle uscite discografiche degli ultimi mesi per tirare le consuete somme di fine anno. Ripensiamo così a ciò che ci ha entusiasmato, alle cose che ci hanno deluso, a quello di cui abbiamo parlato, ma soprattutto a ciò che abbiamo lasciato nel cassetto. All'interno di quest'ultima categoria, non si può ignorare la pubblicazione (avvenuta ad aprile) del secondo disco solista di Franco126, ormai a buon diritto tra gli alfieri della nuova scuola pop italiana; anche perché, nell'ambito della suddetta, la sua storia rappresenta un piccolo caso outsider. L'artista romano, al secolo Federico Bertolini, ha infatti seguito un percorso piuttosto inusuale rispetto ai colleghi a lui contemporanei. In particolare, gli va riconosciuto il coraggio di aver dirottato - almeno da un certo punto in poi - il proprio stile su un terreno alquanto lontano dalle proprie radici.
Dalla tana hip hop della LoveGang126, passando per la fortunata joint venture di "Polaroid" con Carl Brave, Franco giunge al punto di mettere da parte beat digitali e autotune, consacrandosi come cantautore nel 2019 con "Stanza singola", probabilmente tra i migliori album pop della sua generazione, forte di un certo distacco dai canoni dell'it-pop moderno in favore del recupero di una vena retrò (pur sapientemente rispolverata) che trasuda sincerità e autenticità.
Franco126 riversa in musica e parole tutto il suo animo da slacker, dipingendo una serie di adorabili ritratti da fannullone perso tra malinconie e nostalgie; è l'amico che si sveglia a mezzogiorno a cui non daresti una lira ma al quale saresti pronto a confidare tutta la tua vita, l'antieroe con una media di Peroni a prolungamento del braccio.
Rimane insomma pienamente se stesso, rifuggendo impostazioni attitudinali ben più in voga; non ha la frivolezza da vitellone borghese di Tommaso Paradiso, non cade nell'immaginario da Wes Anderson della provincia tipico di Calcutta, non ha velleità soul come Ghemon o Venerus, la sua poetica disadattata non cerca una dimensione di tendenza à-la Gazzelle o Coez. Franco126 riammoderna la cifra agrodolce del suo idolo Califano, trascinandola dai salotti mondani a spartane camere d'albergo cosparse di briciole di cornflakes.
Il problema, dopo un esordio come "Stanza singola", è ripetersi. La rotta intrapresa da Franco è a ben vedere enormemente più complessa rispetto a quella che si sarebbe prospettata mantenendo i piedi saldi in quella sorta di inclinazione pop/rap di nuova leva, nel cui ambito il suo nome era stato tra i primi ad affermarsi su larga scala (con "Polaroid") e che gli avrebbe permesso di campare di rendita per un periodo ragionevolmente lungo.
Il cantautorato pop (soprattutto in quella sorta di "terra di mezzo" di autori non afferenti ai circuiti strettamente "sanremistici", né ad ambienti con esigenze da protensione indie/alternativa) è invece una selva foriera di insidie, dove si rende indispensabile una buona capacità di reinvenzione di sé per tenere a debita distanza lo spettro di una precoce obsolescenza. Capacità che purtroppo scarseggia nel Franco126 post-"Stanza singola", dalla cui semplicità sgangherata l'artista trasteverino si smuove poco e niente. Buona, anzi ottima la prima; peccato che la formula non abbia autosufficienza necessaria per rigenerarsi all'infinito in nuova linfa.
Come anticipato in apertura, nell'aprile del 2021 vede luce "Multisala", ultima prova sulla lunga distanza di Franco, che segna il passaggio in major (Universal) dopo i trascorsi in Bomba Dischi. L'album viene preceduto di pochi mesi dal singolo "Blue Jeans", in duetto con il più blasonato tra gli ex-colleghi d'etichetta: proprio lui, Calcutta. Una classica ballata pop da chitarra acustica che fila via innocua e piuttosto blanda. Pur risultando perfettamente funzionale agli intenti da format radiofonico generalista delle sei del pomeriggio, con la voce di Calcutta ad ammorbidire il timbro roco di Franco, il pezzo si limita a riproporre fin troppo pedissequamente gli scenari di "Stanza singola", non riuscendo però a replicarne la freschezza.
Non è l'unico caso; "Multisala" finisce con l'abusare troppo spesso delle strutture compositive che hanno fatto la fortuna del precedente lavoro, sia negli umori melancolici, stavolta sgombri di una vera e ruvida dolcezza da eterno perdente colto nel fragore dei suoi rimpianti, sia nei momenti più scanzonati, che si ritrovano sottratti della vena frizzante messa in luce in passato.
Se in questi passaggi Franco sembra una sbiadita e poco ispirata copia di se stesso, in altri abdica alla propria natura, inoltrandosi in divagazioni poco confacenti al suo personaggio. Tenta l'approccio a sonorità dalle reminiscenze anni 80, prima con gli andamenti in levare di "Accidenti a te" e le chitarrine da "Figli delle stelle" di "Nessun perché", mancando però di agguantare il refrain da tormentone ("Musica leggerissima"?), poi - in "Ladri di sogni" - con incursioni synth-pop care ai Thegiornalisti, ma senza la verve di Paradiso che, per quanto a tratti insopportabile, è innegabilmente efficace per il genere. Nonostante tutto, proprio "Ladri di sogni" si attesta come la canzone più riuscita del disco, forse a indicare una possibile via d'uscita dall'empasse di idee abbastanza confuse di "Multisala".
Anche lo sguardo al passato volge verso altri lidi; si fanno largo flebili derivazioni battistiane in "Vestito a fiori", mentre con "Maledetto tempo" Franco sembra filtrare Baglioni in una salsa it-pop contemporanea, con esiti non molto brillanti.
Preso come entità a sé, "Multisala" non è in assoluto un disco da buttare. Trova una sua collocazione spazio-tempo e, qui inquadrato, non sfigura. Le melodie suonano abbastanza telefonate ma in diversi frangenti sanno coinvolgere, gli arrangiamenti sono vivi e ben curati (con la conferma del contributo al basso di Giorgio Poi). Franco riesce dopotutto a continuare a farsi voler bene e il risultato è comunque piacevolmente godibile per l'ascolto spensierato; tuttavia, a un'analisi più attenta, paga lo scotto del secondo album, deludendo le aspettative lecitamente generate da un debutto solista convincente e significativo come quello di "Stanza singola".
Forse, in fondo, è soltanto mera questione di coming of age. Franco rimane intrappolato in un'inerzia che si riflette inevitabilmente sulla sua musica. Sembra stanco e annoiato, come un ventenne che non vuole diventare adulto, e questa flemma si inietta in canzoni che in egual modo, alla lunga, diventano stancanti e noiose.
Lui stesso del resto (che un ventenne più non è) in "Maledetto tempo" canta con una marcata amarezza "ma come mi è venuto in mente di crescere?". In effetti, il nocciolo del problema è tutto qui: con "Multisala", Franco126 dà a tratti quasi l'impressione di essere tutto sommato consapevole che nella vita (e di conseguenza, nell'arte) arrivi il momento di cambiare (e che per lui questo momento sia arrivato già), ma allo stesso tempo (volutamente o meno) rifiuta di andare avanti, rifugiandosi in un suo habitat naturale del quale - sfortunatamente - ha però già esaurito la narrazione.
Alla prova di mercato la scelta ripaga ancora ("Multisala", alla sua uscita in aprile, è subito schizzato in testa alle classifiche). Ma per sopravvivere occorrerà trovare dimensioni nuove, che possano continuare a raccontare qualcosa di interessante.
Rimandato. Sulla fiducia.
21/11/2021