Il buongiorno si vede dal mattino, e quella di Andrea Venerus è stata una delle albe più luminose del pop italiano degli ultimi tempi. Un inizio, però, rimasto paradossalmente nell’ombra. “A che punto è la notte”, Ep datato 2018, resta infatti una "svista" generale a tratti inspiegabile. Cinque canzoni in cui il cantautore milanese fonde il suo background elettronico maturato negli anni vissuti a Londra e l’amore per la musica soul più densa, coniugando, per capirci fin da subito, il calore di James Blake e le vibrazioni di Jamie Woon alla sua maniera. Il tutto attraverso una voce dal timbro gentilissimo e che a primo acchito potrebbe far pensare a un inglese che canta in italiano, vista la pronuncia a cadenza British di alcune parole. Non a caso, in sede di lancio Venerus dichiara: “Per la prima volta scrivo e canto in italiano, posso esprimermi nella mia lingua e questo significa molto. Negli anni dello studio al conservatorio, in Inghilterra, la mia testa pensava musica, musica, musica. Il suono era tutto. Adesso posso raccontare, raccontarmi: era il tassello mancante”.
Parole che in occasione dell’album d’esordio, “Magica Musica”, assumono in un post su Instagram un significato ancora più preciso: “Magica Musica è un incantesimo che attraversa il tempo, il comune denominatore che accomuna la musica che ho amato da quando ho coscienza fino al presente. È ritrovare il silenzio, e lo spazio tra le parole. È stata a lungo la mia risposta alla noiosa domanda: che genere fai?”. E in effetti nel disco Venerus vola come una libellula da un climax all’altro; indossa i panni del menestrello noir che canta nell’ombra alla ricerca del “controllo” e del sonno perduto, tra assoli blues ora stoppati, ora ripresi, fiati che restano sullo sfondo e synth celesti (“Fuori, fuori, fuori…”), mentre altrove gioca con l’urban-pop vagamente rap in salsa italiana con l’amico Frah Quintale, dando vita a una variazione mutante del genere (“Appartamento”).
Ciò che rende effettivamente magica l’alchimia di Venerus, è la cura maniacale dei dettagli. Non c’è un suono fuori posto, un accordo di troppo, una sfumatura invadente e manco un brivido mancato. I featuring, inoltre, aggiungono senza mai strafare elementi preziosi (dai duetti con Rkomi e Gemitaiz, passando per l'apporto dei Calibro 35 in “Sei Acqua”), come nell’introduttiva “Ogni pensiero vola” con l’inseparabile Mace.
Si potrebbero scomodare paralleli di un certo peso, a cominciare in alcuni passaggi che orientano la fantasia verso improbabili incroci tra Brandon Paak Anderson, Ned Doheny, Jamie Lidell, Ghemon e il sopracitato Woon.
Si tratta, tuttavia, di sensazioni che evaporano o stuzzicano a seconda della ballata. E di ballate, per l'appunto magiche, se ne trovano diverse, vedi “Una certa solitudine” con il basso alla Thundercat e l’andatura gioiosamente ubriaca, ma soprattutto il gospel filtrato, con l’organetto birichino e spavaldo, percepibile in “Solo dove vai tu”.
Mi sento gli occhi addosso e non capisco di chi sono
Mentre brucio un'altra volta un'occasione per restare buono
E bevo solamente per sentirmi più vicino al mondo
E colleziono scrupoli
Per farne un fuoco e urlarci attorno come stupidi
Correre in tondo ed evocare qualche spirito
Sono perlopiù canzoni "romantiche" che cantano di salvezza, rinascita e voglia di volare via, negli umori giusti. Un album, dunque, dal respiro positivo, mai autoindulgente, inutilmente nichilista o curvo su se stesso.
In “Magica Musica”, Venerus riprende per tutto il tempo traiettorie soul in scia Motown e le ridipinge con i propri colori (“Lucy”). E’ menestrello scanzonato, sarto infallibile (“Eden”). E a volte abbandona anche i propri "confini" con ritmiche imprevedibili (“Lacrima=piccolo mare”), prima di tornare in un luogo imprecisato del mondo della musica situato tra Detroit e Londra (“Canzone per un amico”).
Insomma, quanto basta per posizionarlo subito ai piani alti dell’anno corrente e tra le conferme più autentiche del cantautorato pop contemporaneo del Belpaese.
06/10/2021