Quando il batterista Mike Portnoy era al massimo della sua celebrità, e i
Dream Theater nei loro anni d'oro, nacquero i Liquid Tension Experiment. Era il 1997 e altri tre virtuosi - il leggendario bassista
prog-rock Tony Levin, il tastierista tentacolare Jordan Rudess e il chitarrista prodigioso
John Petrucci - si unirono al progetto per formare un quartetto strumentale votato allo sfoggio incontrollato di precisione, versatilità e velocità nell'eseguire le partiture da
tour de force dei primi due album.
Dopo una reincarnazione come trio nel lontano 2007 e tre documenti live risalenti al 2009, il supergruppo scompare dai radar. Solo nel 2021 arriva il terzo capitolo, 22 anni dopo il secondo. Otto brani per 61 minuti che diventano 13 brani per 117 minuti nell'edizione deluxe, grazie all'aggiunta di un secondo disco di sole improvvisazioni.
Se agli esordi si è potuto parlare di un'affermazione pirotecnica del loro prog-metal ultra-tecnico, elegante e scintillante, questa volta non abbiamo che una gradita conferma: due decenni abbondanti dopo, i Liquid Tension Experiment sono ancora un quartetto votato a composizioni di delirante complessità, padroneggiate con precisione chirurgica.
Bastano l'iniziale "Hypersonic" o la fragorosa "The Passage Of Time" per sentirsi a casa, anche troppo se poi spuntano tastiere novantiane come in "Beating The Odds" e i momenti più atmosferici sembrano rubati alla musica d'atmosfera di una spa ("Liquid Evolution"). Perlomeno loro sembrano divertirsi un casino, e anche noi quando mettono da parte gli assoli per il gorgo psych-sludge di "Chris & Kevin's Amazing Odyssey".
Il quintetto di improvvisazioni è puro onanismo per chi vuole ascoltare dei fuoriclasse far dialogare gli strumenti con la naturalezza con cui chi vi scrive neanche riuscirebbe a parlare con altri tre amici.
Vale, per questo terzo capitolo, una considerazione che era buona anche quattro lustri fa: se è la capacità tecnica, la spettacolarità, la difficoltà esecutiva a fare grande un album, allora anche questo è un capolavoro. Se invece un'opera si eleva quando mette la tecnica al servizio del messaggio e dell'emozione, volendo anche dell'innovazione, integrandola in una cornice che sia più di un'interminabile sequenza di assoli, intrecci e variazioni, allora quest'album è un semplice esercizio da fuoriclasse, con l'aggravante di non aver saputo mettere a frutto l'indubbia abilità dei quattro in oltre vent'anni. Troppo spesso domina un senso di nostalgia e autocitazionismo calato all'interno di un prog-metal retorico e formulaico, bloccato a inizio millennio.
03/06/2021