No, non è “Van Weezer” il nuovo album dei Weezer. C’è da aspettare ancora un po’ per il fantomatico omaggio, che fa tanta paura quanta curiosità, di Cuomo e della sua ciurma ai chitarroni di Van Halen e derivati; uscita programmata per lo scorso anno e poi rinviata causa Covid-19. Il coronavirus al suo solito toglie e impedisce, ma in questo caso ha anche concesso qualcosa. È infatti proprio causa del dannato virus questo “Ok Human”, che, edito più o meno a sorpresa, ha rubato a “Van Weezer” la posizione numero 15 nella discografia dei losangelini.
Costretto a casa durante il lockdown, Cuomo ha avuto tempo di strimpellare nuovi motivetti al piano e di concentrarsi su riflessioni e sentimenti sopiti da tempo. In parole povere: di riscoprirsi vulnerabile. Dietro a un titolo che è la giocosa storpiatura in pieno dissacrante stile Weezer di “Ok Computer” dei Radiohead, si cela in realtà la riappropriazione da parte del leader della band di una dimensione più umana, riflessa in una scrittura meno gigionesca e caricaturale di quanto fattoci sentire ultimamente.
In “Ok Human” fanno infatti capolino sentimenti e un’emotività straripante che River non esibiva forse addirittura dai tempi del rabbioso “Pinkerton”.
La data d’uscita non annunciata non è l’unica sorpresa che il nuovo disco dei Weezer ha in serbo. L’altra, ben evidente sin dal primo brioso tris di canzoni, è un sound nuovo di zecca, che vede le chitarre arretrare sostanziosamente, rinunciare alla consueta parte del leone e amalgamarsi agli altri strumenti in un rilassante e inedito chamber-power-pop. Sia il ritornello di “All My Favourite Songs” che quello di “Aloo Gobi” sono segnati da corpose pennellate di archi, mentre il retrogusto di “Grapes Of Wrath” è dominato dai rintocchi di un clavicembalo.
Quella che è la più grande rivoluzione sonica mai operata dai Weezer, comunque spesso propensi a piccole novità, non appesantisce la genuinità e la semplicità delle strutture tipiche del songwriting di Cuomo.
Certamente da segnalare è anche la ballad strappalacrime “Bird With A Broken Wing”, con una melodia carezzata da archi e fiati che davvero riesce a far ricordare la golden age della band.
L’operazione di restyling compiuta sul suono, così come la sincerità e la spontaneità di queste canzoni, dimostrano coraggio e autentica voglia di mettersi in gioco. Alzano peraltro l’asticella della qualità enormemente rispetto alle ultime, deludenti prove della formazione. Non va però fatto l’errore di cedere in facili entusiasmi e gridare a una resurrezione. Purtroppo gran parte di questa tracklist sfigurerebbe al cospetto di quelle dei vari “White Album” o “Everything Will Be Allright In The End”. Figurarsi a quella di un “Blue Album”.
03/02/2021