Un azzardo? Un affronto? A distanza di quasi dieci anni dalla pubblicazione su OndaRock della monografia dei King Gizzard & The Lizard Wizard, il dubbio sembra ormai dissolto, nel bene e nel male, nonostante i tentativi di liquidarli come l’ennesima band garage-rock dai tratti psichedelici (un’idea incoraggiata dall’egregio “12 Bar Bruise”), la formazione australiana ha conquistato un posto di rilievo nel panorama internazionale.
Prolifici, eccessivi, versatili, Stu MacKenzie e soci non fanno più mistero della loro attitudine alle scale oscillanti del jazz e all’uso ricorrente di accordi microtonali, scelte creative adottate al fine di preservare una libertà espressiva che i canoni della musica pop-rock spesso rendono più complessa. Il segreto dei King Gizzard & The Lizard Wizard è racchiuso nella loro capacità di reinventarsi, ovvero in questa costante sfida nel voler rinnovare lo spirito del garage-rock alternando caos a melodia, intensità a leggerezza.
La band ha giù salutato il 2022 con due album, nonché l’ennesimo classico da aggiungere alla scaletta di fuoco delle esibizioni live (“The Dripping Tap”, tratto da “Omnium Gatherum”). L’annuncio di altri tre album da pubblicare in uno stretto lasso di tempo ha dunque lasciato perplessi i fan. Ma timori e paure si sono per fortuna istantaneamente volatilizzati: “Ice, Death, Planets, Lungs, Mushrooms And Lava” eredita in parte l’imprevedibilità free-form di “Omnium Gatherum” e la densità psych-rock di “Poligondwanaland”, senza essere allineato con nessuno dei dischi appena citati.
Sette brani, ovvero i sette modi della scala maggiore (una successione di 8 note che hanno una distanza fra loro sempre fissa), conosciute ai musicisti con i termini Ionico, Dorico, Frigio, Lidio, Misolidio, Eolio e Locrio, sette jam session per sette giorni, un flusso di spontanea incoscienza e capricci di post-produzione, con Stu MacKenzie pronto a rimodellare, tagliare e depistare.
Ingannevoli dolcezze reggae-pop con eleganti striature jazzy (“Mycelium”), inaspettati flussi acid-jazz contaminati da visioni psichedeliche orientaleggianti, kraut e afro-blues (“Magma”) e raffinatezze funky intercettate da digressioni chitarristiche alla Animal Collective e un wah wah stile Carlos Santana (“Iron Lung”): questo offre in parte il primo dei tre nuovi album della band australiana, ed è solo una porzione del glorioso campionario di uno dei capitoli più avvincenti della sua pur copiosa discografia.
Anche “Hell's Itch”, forse l’episodio più debole del lotto, offre fraseggi chitarristici degni di menzione, nonché un ipnotico groove a base di flauto, voci soavi e armonie rilassanti. Per gli amanti del virtuosismo la vera fonte di delizia è invece racchiusa nel blues psichedelico di “Lava”, un mantra perfetto per l’iniziazione di nuovi adepti al credo degli australiani.
Jam session per i King Gizzard & The Lizard Wizard vuol anche dire lanciarsi ancora una volta nel sacro fuoco dell’improvvisazione jazz-psych e il respiro delle composizioni non è mai stato così vibrante: le movenze funky di “Ice V” evocano perfino il buon Herbie Hancock ma anche i War (una suggestione che aleggia anche negli altri due album pubblicati a ottobre di quest’anno), mentre gli incisi della conclusiva “Gliese 710” affondano ancor più le mani nelle lande del jazz, citando Dave Brubeck, Miles Davis e Tony Allen.
Chiedere di più a questo punto è difficile e al di là delle altre due pubblicazioni di cui a breve racconteremo, questo capitolo discografico segna un deciso spartiacque tra la produzione più incidentale della band e quella destinata alle glorie della storia della musica rock. “Ice, Death, Planets, Lungs, Mushrooms And Lava” è l’album degli australiani che attendevamo per rilanciarne le già notevoli quotazioni: keep jammin’!
06/11/2022