Lambchop - The Bible

2022 (City Slang)
alternative songwriter, chamber-folk,

Ho avuto il piacere di conoscere Kurt Wagner nel 2017 durante il tour italiano dei Lambchop, più precisamente in occasione della data avellinese. Dipinto spesso come freddo e scontroso, il leader della band alt-country americana si dimostrò disponibile e cordiale, più interessato a dialogare di musica e arte piuttosto che di massimi sistemi e inutili aneddoti da gossip. Solo una domanda fu lasciata in sospeso, con un sorriso ed un accenno del capo che esprimevano compiacimento per il pur semplice interrogativo: dopo il trionfale capitolo finale della stagione chamber-folk con “Mr M” e le coraggiose e incantevoli contaminazioni elettroniche, trip-hop e sperimentali di “Flotus“, i Lambchop sono forse prossimi a una svolta jazz?.
Cinque anni dopo la risposta Kurt Wagner l’affida a “The Bible”, album che accantona in parte lo spirito più melodico-armonico della band, resuscitato con l’album di cover versionTrip” e il mellow-mood di “Showtunes”.
Durante questi ultimi tempi Kurt Wagner ha affrontato i disagi causati dalla senilità, dai vari problemi di salute dei propri cari, ponendosi domande alle quali non è facile dare una risposta. Credente o laico non fa differenza, di questi dubbi e di queste perplessità, si è nutrita la recente produzione dei Lambchop.

 

“The Bible“ non è il disco delle risposte, non è neanche l’album delle certezze, Wagner ridisegna la trattoria della musica alt-country rivoltandola come un calzino, in quest’attitudine è percepibile quella natura jazz che finora era stata diluita tra mille possibili forme di composizioni. Se “Flotus” è servito a rompere gli schemi, “The Bible” è il piano di lavoro per il prossimo futuro, non importa quanto sia breve o lungo. "Confesso che non ho scopo/ non mi lamento/ ora questi giorni sono misurati dal numero / trenta estati da oggi", canta Kurt nell’introduttiva “His Song Is Sung”, un brano che cala come un mantello residuo delle vecchie creazioni chamber-pop, per poi dare il via alla nuova era, le sonorità hanno perso qualsiasi tonalità confortevole, tutto è sinistro, inquieto, algido, il trionfo di fiati e archi che cerca di raccordare l’insieme liricamente scomposto è alfine farsesco.
Ancora una volta i Lambchop affidano alla traccia d’apertura la chiave di lettura dell’intero disco, ma è erroneo pensare di aver capito tutto dopo solo cinque minuti, l’imprevisto funky-dance di “Little Black Boxes” è non solo la canzone più ballabile della band ma è un ulteriore segnale che all’immobilità di “Showtunes” il nuovo album contrappone una motilità avvincente e imprevedibile.

Nel ribadire che “The Bible“ è l’album jazz di Kurt Wagner non mi sottraggo al prevedibile assalto nei noiosissimi puristi del genere, ma il jazz non è solo uno stile è anche un’attitudine, lo sapeva bene Miles Davis che ne ridisegnò i confini e il linguaggio più volte, dopotutto “Daisy” è una perfetta e fumosa ballata da jazz-crooner e il groviglio di groove e preziosismi strumentali di “Whatever, Mortal” è un vortice jazz-blues-soul degno del miglior Kamasi Washington.
C’è un altro importante segno di rottura con il passato, nel nuovo album dei Lambchop: aver scelto di abbandonare Nashville per Minneapolis per la realizzazione di “The Bible” è un messagio politico/sociale forte. Minneapolis è il luogo dove si è consumato il tragico destino di George Floyd, ed è altresì emblematico che sia stato scelto l’aspro e leggermente gotico soul-gospel di “Police Dog Blues” come singolo per il lancio dell’album.

 

E’ sempre l’irrequietudine il motore principale della musica dei Lambchop, solo che in “The Bible” quest’artistica celebrazione del caos raggiunge vertici nuovi e sconcertanti. Kurt è un non allineato, un genio dell’imprevedibilità, che si prende beffa dei critici che continuano a definirlo un musicista country: si ascolti il languido suono della chitarra in “Dylan At The Mousetrap”, fino a seppellirne i pochi resti nell’elaborato e criptico chamber-folk di “That’s Music”, dove si raggiunge una sintesi perfetta tra il vecchio lirismo orchestral-country e le nuove scomposte forme simil-jazz.
Resta da definire quale sia la canzone da consegnare ai posteri di questo nuovo esaltante capitolo della saga Lambchop. Certamente non “So There”, che rappresenta l’unico momento confortevole, seducente e lineare del progetto, né l’atipica ballata dark dalle sfumature vocali robotiche “A Major, Minor Drag”.
Alfine è nella splendida “Every Child Begins The World Again” che è racchiusa tutta la potenza di “The Bible”, un brano che alla poetica di Kurt Wagner accosta l’elegante sarcasmo di Randy Newman, per una dark ballad che parla di Hank Williams, bare scoperchiate e della consapevolezza della propria caducità e  stoltezza, mettendo su un sol piano malinconia e depressione.

 

Che per i Lambchop si apra un nuovo capitolo è confermato dalla scelta di affidarsi per la prima volta a due produttori esterni, Andrew Bodner (conosciuto attraverso il comune amico Bon Iver ) e Ryan Olson (Gayngs), entrambi abili nel mettere in risalto la natura impressionista della musica di Kurt Wagner e nel restituire quella natura simbolica, criptica, misterica, indefinita, assaporata e gustata fino in fondo nel monumentale album d’esordio “I Hope You're Sitting Down (Aka Jack's Tulips)” e che i Lambchop tengono in vita da quasi un trentennio.

15/10/2022

Tracklist

  1. His Song Is Sung
  2. Little Black Boxes
  3. Daisy
  4. Whatever, Mortal
  5. A Major, Minor Drag
  6. Police Dog Blues
  7. Dylan At The Mousetrap
  8. Every Child Begins The World Again
  9. So There
  10. That's Music




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