Londra, 1990. Per la seconda e ultima volta un album dei Loop finisce in vetta alla Indie Chart Uk. "A Gilded Eternity" bissa infatti il riscontro ottenuto dal precedente "Fade Out" (e dal debutto "Heaven's End", fermatosi alla posizione 4 nel 1987), ma diventa anche l'inspiegabile canto del cigno della band di Robert Hampson, segnata dalla progressiva diaspora dei membri verso altrettanti nuovi progetti.
I Loop chiudono il decennio con soli tre lavori sulla lunga distanza nel curriculum, tutti destinati però a lasciare il segno grazie a un suono ipnotico, debitore in egual misura di elementi space-rock, kraut e psych, riuniti sotto l'egida di un muro di feedback e distorsione stoogesiana. "A Gilded Eternity" segna in particolare un passaggio fondamentale anche per la nascita di un genere che l'anno successivo i My Bloody Valentine e gli Slowdive sveleranno in tutta la sua peculiarità: lo shoegaze.
Hampson dedica gli anni successivi prima alla sperimentazione post-rock con i Main (insieme al chitarrista Scott Dawson) e poi alla sua carriera solista, nell'ostinato tentativo di affrancarsi dallo storico muro di chitarre taglienti al quale non voleva essere più associato. Fino al 2013, il nome Loop sparisce quindi dagli annali e dalle copertine delle riviste specializzate, per poi riapparire in occasione di un paio di reunion tour (con la stessa formazione di "A Gilded Eternity") e un Ep uscito quasi in sordina, l'interessante "Array 1".
Dopo alcuni avvicendamenti, Hampson resta l'unico superstite della line-up originale e annuncia il ritorno al formato album per il 2022, il qui presente "Sonancy". Al di là della ovvia sorpresa che si accompagna a una notizia del genere, la prima domanda che balza in testa è "Cosa è cambiato a livello di suono in questa nuova incarnazione della band?". "Sonancy" non ci mette molto a rispondere: poco o nulla. È ovvio che un improvviso ribaltamento di fronte avrebbe avuto poco senso nell'economia di un comeback, ma in generale il ripescaggio ufficiale di un marchio di fabbrica del passato nasconde sempre qualche insidia, non ultima l'accusa di opportunismo.
I Loop evitano la trappola rielaborando con buoni risultati l'ossessività kraut, le cavalcate space e la foschia psichedelica che li avevano resi famosi, come dichiarato dalla tripletta iniziale "Interference", "Eolian" e "Supra", ma è evidente che Hampson tenti di rendere più fruibile la proposta semplificando le parti vocali rispetto al repertorio storico. Se è vero che la sua creatura è sempre stata una massa ermetica di materia oscura poco in linea con la forma canzone (in "A Gilded Eternity" la voce era quasi seppellita dalla colata di calce lisergica prodotta dalle chitarre), colpisce oggi l'impostazione più asciutta anche in termini di scrittura, a tratti una sorta di variazione post-punk dei Black Rebel Motorcycle Club con gli occhi impiastricciati di Mandrax, nella quale Hampson compensa il minor fascino ritualistico con punte di intensità ipnotica a metà tracklist ("Isochrone", "Halo", "Fermion" e la strumentale "Penumbra II").
"Sonancy" è un lavoro forse prevedibile ma sincero, che emerge dalle sensazioni del suo autore a proposito di due anni di incubo pandemico, di isolamento, di preoccupazione per la situazione internazionale, di incazzatura per le difficoltà da superare per registrare il disco stesso (chissà come avrebbe reagito di fronte alla recente l'invasione russa in Ucraina, ndr) e che in definitiva raggiunge un livello di astrazione sonora perfettamente coerente con l'intenzione primaria della band: rendere palpabile il caos cosmico.
30/03/2022