He says he don’t believe in science
He thinks that all news is fake
And late at night sits on his computer
And writes about the thinks he hates
(Da "Troglodyte")
Non ce ne vogliano gli aficionados del post-punk inglese a tutti i costi, al massimo irlandese: alcune delle realtà più succose di questa abusatissima realtà musicale ultimamente provengono dalla penisola scandinava. È sicuramente il caso dei danesi Iceage, che, cambiando pelle ad ogni disco, sono unanimemente considerati tra gli alfieri della scena, ma con questo “Cave World” gli svedesi Viagra Boys, superata l’atroce perdita del chitarrista e membro fondatore Benjamin Vallé, quasi li eguagliano.
Nei loro primi due dischi gli ironici Viagra Boys ci offrivano un post-punk tagliente, che diramava i suoi esperimenti in molteplici direzioni, utilizzando ad esempio l’arma del free jazz – comunque presente anche in questo nuovo Lp. Per questa terza prova la band ha invece scelto una formula molto più omogenea, che condensa i vari ingredienti assaggiati nella precedente esperienza in un assalto dance punk.
“Cave World” è dunque un concitato ballo post-punk sulle macerie idiote della nostra società, il canzonatorio cartello d’ingresso in una nuova età delle caverne.
Spigolose e propulse da un basso dance, “Baby Criminal”, arricchita per giunta da un affilato riff di sax no-wave, e “Troglodyte” aprono la salace danza macabra, ma è con “Ain’t No Thief” che il disco raggiunge le sembianze di un baccanale violento e travolgente. In “ADD” vengono chiaramente chiamati in causa gli Lcd Soundsystem, ma solo dopo avergli fatto tirare una scodellata in testa dai Devo.
L’eccellente lavoro sull’elettronica rudimentale che funge da calce per tutte le idee ritmiche e chitarristiche del disco vede le sue vette in “Creepy Crawlers”, divertente e spietata radiografia dei no vax cospiranoidi (“They are putting microchips in the vaccines/ little creepy crawlers/ with tiny little legs that creep around your body/ collecting informations”), e “Return To Monke”, qui mischiata a un turbinante tornado di chitarre distorte.
Jason Williamson degli Sleaford Mods viene chiamato a sbraitare in compagnia di Sebastian Murphy al ritmo del basso punk-blues di “Big Boy”, altro brano che sul finale prende un’irresistibile svolta ballabile. Il pezzo più sorprendente è però “The Cognitive Trade-Off Hypotesis, una marcia punk subdola e strisciante con dei coretti intonati dalla band con fare da spiritelli maligni.
Terzo disco e terzo centro pieno, quindi, per la formazione di Stoccolma, che a questo giro ha costruito un concept credibile e scanzonato, in alcuni frangenti anche dannatamente pop, sul declino etico e intellettivo dell’era digitale.
12/07/2022