Gloaming, Stick In The Wheel, Lankum: sacra triade alla quale sono affidate le sorti del rinnovamento della musica folk, tre band che con criteri diversi, ma concettualmente affini, sposano l’arte della sperimentazione.
Ai Lankum va riconosciuta un’audacia e un’inflessibilità non comuni, che ne nutrono le ambizioni senza snaturare l’essenza di band legata alla tradizione folk.
L’identità culturale della formazione irlandese è radicata nella musica popolare, le sue canzoni sono racconti che parlano di vita terrena, di persone in continua lotta con le avversità della vita, ma soprattutto del mare, elemento naturale che diventa simbolo di sentimenti essenziali e necessari - morte, amore e libertà – un luogo dove paure e speranza viaggiano in sincrono, spesso confondendo le acque.
“False Lankum” non è solo il titolo dell’album, ma è un’altra sfida che il gruppo irlandese lancia nei confronti di una tradizione musicale spesso imbalsamata e autoreferenziale: shoegaze, drone-music e post-rock sono linguaggi esplorativi, che svincolano le matrici folk da una recondita identità sciovinista. Il quarto album dei Lankum apre vecchie ferite per raccontarne di nuove: il mare non è solo un confine entro il quale rintanarsi ma è anche un’opportunità per fuggire dall’orrore delle guerre e della povertà, il ronzio dei droni che agita la musica della band irlandese è l’urlo strozzato degli emigrati, delle persone sopraffatte dalla violenza e dalle menzogne.
Dal punto di vista musicale, “False Lankum” completa l’interazione della strumentazione prevalentemente acustica - che ha caratterizzato gli esordi della band in passato nota come Lynched - con il ricorso a una più vasta gamma di strumenti elettronici, ma anche piano e theremin, ampliando ulteriormente toni e sfumature. Nel rinnovamento anche simbolico della tradizione, i Lankum prendono in ostaggio la natura quasi eroica della suicida per amore protagonista della struggente “Go Dig My Grave” per esacerbarne gli elementi più disturbanti, accostando al tormento dei parenti il passo greve di un mantra-funebre e all’inutile sacrificio della donna lo stridio del violino, quasi a rimarcare il crescente egotismo della cultura contemporanea.
La costante atmosfera criptica e a tratti quasi infernale di “False Lankum” è sorretta da brevi quanto angoscianti interludi strumentali (“Fugue I”, “Fugue II”, “Fugue III”), che sottolineano ancora una volta l’abilità degli irlandesi nello stravolgere le sonorità di strumenti apparentemente ordinari.
Nel continuo mettere a nudo il mito, i Lankum concedono al diavolo la giocosità pagana di “Master Crowley's” per svelarne l’essenza di danza macabra e intimidatoria al suono di rumori e grida infernali che ne tacciano l’esuberanza. Le ortodosse trame folk di “The New York Trader” sono materia organica per una delle destrutturazioni più potenti dell’album, la voce di Ian Daragh (i cui esordi sono stati contrassegnati da slanci hardcore-punk e non disdegna progetti sperimentali collaterali ai Lankum) è pari al lamento dei marinai in cerca di un approdo sicuro, un canto armonico che apre spazi lirici nel mezzo della tempesta di droni e percussioni, permettendo a violino, fisarmonica, flauto e corni di creare un vortice sonoro irresistibile.
La semplicità ingannevole di alcune ballate dalla sobria e austera bellezza (“Lord Abore And Mary Flynn”) e dalla soave e quasi impalpabile malinconia (“On A Monday Morning”) suona come un insieme di canti solitari che i Lankum trasformano in un’invocazione corale, frangenti più armonici e delicati che suggellano alcuni paragoni invocati dai critici con i Pink Floyd e i Radiohead. Il tremolio acustico e psichedelico di “Clear Away In The Morning” ha il fascino di alcune ballate di Waters & C., mentre i quasi tredici minuti di “The Turn” prosciugano l’epica dei racconti popolari con incastri vocali giocosamente cupi, toni velatamente apocalittici congeniali sia al virtuosismo del progressive che alle più strenue tematiche death-metal.
“The Turn” è anche una delle due composizioni originali della band (negli altri casi, eccetto per i brevi strumentali, si tratta di rielaborazioni di brani tradizionali), l’altro inedito è “Netta Perseus”, il pezzo dal fascino forse più immediato dell’intero progetto, una folk-song che profuma di vecchia Inghilterra ma anche di California, anch’essa turbata da un finale doom-folk.
“False Lankum” è un disco che celebra la forza sovrannaturale della musica come linguaggio dell’uomo, un progetto che trasuda ambizione e autenticità, una potente dichiarazione d’intenti che apre nuove frontiere per la musica folk ed entra prepotentemente nell’immaginario rock.
22/05/2023