Il successo della band di Wigan a molti è sembrato l'ennesimo colpo di coda di una scena britpop che ancora esercita un certo fascino sul pubblico inglese. Il secondo album della band inglese ha ora il difficile compito di dover rispondere alle attese di pubblico e critica, pronti a decretarne il successo o il bramato declino.
Prassi vuole cha a un esordio fulminante segua una prova ragionata e matura, calibrata e più solida. I Lathums scelgono viceversa un'onesta e viscerale verve pop che non tradisce la genuinità dell'esordio, preservando quel brio giovanile e quasi sprezzante, non privo di sussulti d'ingenuità e di qualche piccolo difetto.
Per la band lo scoglio non facile da superare è stato l'abbandono del bassista Johnny Cunliffe, mentre il leader Alex Moore ha dovuto lottare con le conseguenze emotive di una relazione andata in pezzi, due eventi che hanno al contrario motivato e spronato i tre musicisti inglesi: "From Nothing To A Little Bit More" è un disco quasi terapeutico, un deciso schiaffo alla sorte avversa e una celebrazione della forza salvifica della musica.
Non a caso l'album si apre con una schietta dichiarazione passionale: "A volte penso a quando ero giovane, ai tempi più felici, ora che se ne sono andati, cercherò di ricordare le cose che mi hanno fatto sorridere" ("Struggle"). Ed è esattamente quello a cui la band tiene fede per il resto del disco, mettendo a nudo, senza timore alcuno, sentimenti come collera, confusione e angoscia.
La mano esperta del produttore Jim Abbiss (Arctic Monkeys, Editors) offre ai Lathums la possibilità di cimentarsi con un set più variegato di tipici moduli britpop, con la prevedibile egemonia dei brani destinati al ruolo di singoli apripista: l'epica e fastosa "Sad Face Baby", la già citata "Struggle" e l'incalzante e travolgente "Say My Name".
A questo trittico già collaudato la band aggiunge ulteriori potenziali singoli: personalmente punto i miei cinque pound sul riff chitarristico del frizzante uptempo di "Land And Sky" e sulle nuance stile Oasis di "Rise And Fall", senza però sottovalutare il potente grido stile La's di "Facets", che offre il brio chitarristico più ruvido dell'intero progetto.
"From Nothing To A Little Bit More" mostra rilevanti segni d'evoluzione nella spensierata pop song alla Housemartins "Lucky Bean", ornata da un vigoroso arrangiamento di fiati e dal suono di una fisarmonica, e nel brioso omaggio al soul targato Motown in chiave Beatles di "I Know Pt 1".
Anche la sfida con il lato romantico del pop è superata senza sforzo: i Lathums mettono a segno due ballate destinate a elevare il tasso emotivo dei loro concerti - il tour questa volta ci sarà e sarà imponente. La ballata per piano e archi "Turmoil" è fuori di dubbio una delle tracce più amabili del disco, un brano che si fa perdonare anche l'inevitabile tripudio di accendini che ne seguirà le sorti live. Ancor più facile entrare in sintonia con "Undeserving", una canzone dal forte impatto vocale e dal raffinato arrangiamento: pochi efficaci accordi di chitarra acustica e il delicato riverbero di una chitarra acustica perfettamente dosati, per un brano che senza dubbio entra tra i classici della band di Wigan.
Voler fare le pulci a "From Nothing To A Little Bit More" non è in verità impresa difficile, stereotipi e presupposti concettuali offrono molte possibili critiche, ma ancora una volta la forza e la schiettezza di queste undici canzoni convincono e incoraggiano un sonoro "ma chi se ne frega!".
(19/03/2023)