Sleep Token

Take Me Back To Eden

2023 (Spinefarm)
electro-rock, art-metal, post-djent

Due milioni e mezzo di ascoltatori mensili non sono una cosa da tutti. Il risultato Spotify dei londinesi Sleep Token è un tot più significativo di quanto possano vantare “big” alternative come Fontaines D.C. (900mila, ma erano un milione), IDLES (1,2 M), Weyes Blood (1,8 M). Certo, non sono i 26 milioni di Mitski, i 3,4 dei Royal Blood e nemmeno (o non ancora) i 2,8 dei Big Thief, ma si tratta di una cifra ragguardevole per una band che esce su un’etichetta finlandese sussidiaria di Universal, nota finora prevalentemente in ambito doom-death, power- e folk-metal.

La consistenza della fanbase non è l’unico tratto peculiare della band britannica. La sua commistione di metal (-core, djent, post-) ed elettronica/ambient – e finanche trap e r’n’b – ha indubbiamente del coraggioso. L’aspetto che più sorprende della sua formula, giunta quest’anno al terzo Lp, è tuttavia la sua sfacciata affettazione pop. Molto più che ad altri incursori tritageneri post-djent, a valutare dalle canzoni, gli Sleep Token somigliano a degli Imagine Dragons intamarriti. “Non erano già abbastanza tamarri gli originali?”, dite? Beh, non deve essere questa l’impressione dei tanti – la larga parte del loro pubblico – che hanno iniziato a seguire la band con l’ultimo “Take Me Back To Eden”, uscito a maggio.
A stregare deve essere innanzitutto il sound. Ipercompresso, digitale senza evocare echi cyber-, suona tanto lezioso e monocromo quanto sia possibile per un ensemble di maniscalchi prestati alla musica da spot Tim. Insomma, irresistibile, se uno apprezza il contrasto.
Anche il trucco&parrucco gioca una parte. Come gli altri campioni di ascolti metallici degli ultimi anni, gli svedesi Ghost, anche i componenti degli Sleep Token adottano pseudonimi (“Vessel” e “II”) e si esibiscono mascherati (i giorni scorsi, i forum di appassionati pullulavano di cosplay realizzati per Halloween). Benché i nomi dei membri siano noti, le loro identità rimangono nebulose, e l’avvincente lore costruita attorno alla musica della band ha contribuito ad aumentarne il fascino enigmatico. In quello che è un probabile rimando (innocuo) alle teorie QAnon, ciascun elemento rappresenta un potenziale indizio (breadcrumb) nella direzione dello svelamento di una verità recondita, e ogni brano è visto come un token, un frammento o offerta, dedicato all’oscura presenza Sleep.

L’approccio stilisticamente eclettico fa il resto. Enfatizzando la dinamica, pezzi come “Granite” e “Take Me Back To Eden” passano dalla calma alla tempesta con una costruzione da perfetto cliché soft/loud, ma congiungendo elementi anomali: dall’ambient/soul al pop-rap alle sonorità electro, fino a sfociare in scariche di chitarroni diroccate da coltri sintetiche. “The Summoning”, secondo singolo dell’album nonché brano più ascoltato, calca maggiormente la mano sui suoni estremi e sfodera scream vocals accanto a raffiche metalcore, ma anche paludi chillwave e occasionali svisate digital fusion.
E che osservare della conclusiva “Euclid”, che parte come piano ballad, scopre armonie vocali moltiplicate tecnologicamente e si reinventa in chiave arena rock grazie all’ennesima esplosione chitarra-basso-batteria? Se c’è qualcosa che non manca alla band, è la spavalderia negli accostamenti. Sorprende alquanto, allora, che a latitare sia spesso la varietà dei toni.
Se fino al precedente “This Place Will Become Your Tomb” il loro stomp-metal poteva in alcuni brani ricordare un mix riuscito di Katatonia e Hozier, con “Take Me Back To Eden” si vira piuttosto in direzione Linkin Park. Senza purtroppo alcun guizzo alla Mike Shinoda a salvare il flow pseudo-trap di Leo Faulkner/Vessel dalla stucchevolezza e dal torpore in “Aqua Regia” o “Ascensionism”.

La tracklist fa di tutto per sbandierare la propria versatilità in termini di generi e livelli di intensità: com’è possibile, allora, che i brani annoino come continue e poco avventurose rideclinazioni di uno stesso schema, di uno stesso suono? Senz’altro molto lo fa la produzione, affidata a Carl Brown, già affermato in campo metalcore e del tutto votato a mettere in risalto un unico aspetto del sound: la sua muscolarità. Ma non c’è solo questo. È lo spettro creativo ad apparire assottigliato. L’ambizione para-progressive dei primi due album pare accantonata, e a rimpiazzare il gusto per l’esplorazione sembra essere giunto un suo simulacro assai più trito: un’ostentazione di poliedricità che ricalca sempre i medesimi percorsi emotivi. C’è chi ci sguazza: senz’altro molti dei fan storici, nuovi adepti venuti su a metalcore/djent ipervitaminizzato, ma forse anche semplicemente ascoltatori più casual in cerca di workout music particolarmente catartica.
Per i più curiosi fra costoro e anche per chi, invece, storcesse il naso verso questo specifico approdo, il contesto attuale ha fortunatamente molto altro da offrire. Tanto i virtuosismi mathcore/flamenco/Edm-trap dei Polyphia che il sorprendente chill-metal di Jakub Żytecki, così come la fusion rocambolesca degli Arch Echo e il folle chiptune/synth/djent di Algorythm o Pryapisme mostrano efficacemente come i territori di confine fra (post?)djent e altri universi musicali siano in questi anni più fertili che mai.

16/11/2023

Tracklist

  1. Chokehold
  2. The Summoning
  3. Granite
  4. Aqua Regia
  5. Vore
  6. Ascensionism
  7. Are You Really Okay?
  8. The Apparition
  9. DYWTYLM
  10. Rain
  11. Take Me Back To Eden
  12. Euclid

Sleep Token sul web