La trap, l’hip-hop italiano, l’esplosione del(la) dubstep con “Scary Monsters And Nice Sprites”. L’onda lunga del ritorno eurodance dei vari David Guetta, Calvin Harris, presto diventato una cosa sola con l’onnipresente sound di Max Martin e dei suoi discepoli più in vista. Il reggaeton-pop da “Despacito” in giù. Lo sbarco in Occidente del k-pop. Adele e Bruno Mars; Taylor Swift e i successi di Pharrell Williams. Justin Bieber. “Somebody That I Used To Know”, “Call Me Maybe”, una lunga schiera di tormentoni estivi (da Shakira a Fedez + J-Ax).
C’è altro, oltre a questo, nel ventaglio del mainstream anni Dieci? Capisco a qualcuno basti l’elenco precedente per perdere ogni ulteriore interesse. Altri, invece, li immagino già pronti coi vari “manca X!”, “perché non Y?”. Ma, oltre a tanti nomi singoli, dalla lista sopra è stato escluso un intero filone, non troppo distinto e a ben vedere anche privo di un nome condiviso, eppure presentissimo nelle classifiche e nella memoria musicale. Se dico Coldplay? Imagine Dragons? OneRepublic? Bastille?
Non scappate via, non voglio convincervi ad ascoltarli. O meglio, sì, ma più che altro per vederne la musica in prospettiva, identificandola per quello che è. Ovvero uno dei sound prevalenti del decennio appena trascorso, dotato di un’estetica e caratteristiche incisive e ben identificabili. E forse anche la corrente recente che nell’immaginario del decennio è stata più associata al termine “rock” nonché (udite udite) all’aggettivo indie — almeno prima che, quantomeno da noi, questo fosse usucapito da Calcutta, Motta e il resto della loro genìa.
Una lista pubblicata nel 2018 su RateYourMusic ha provato a fare un po’ d’ordine e ha abbozzato un nome piuttosto efficace: stomp rock. Citando un articolo del Daily Beast sugli Imagine Dragons, l’introduzione della pagina recita (attribuendo il pensiero a un ipotetico discografico):
Ci serve un sottofilone a base di Colplay e hip-hop, mescolato a Edm e Autotune, e piazziamoci anche un po’ di effetti sintetici anni Ottanta. Bisogna metterci eco e handclap! Inzuppiamolo nel riverbero! E muoviamo le giuste pedine perché venga usato durante le partite della National Football League.
Ritmi energici e commistioni elettroniche, dunque, ma non solo: gli artisti che si muovono in questo territorio hanno un approccio piuttosto camaleontico, e pescano a piene mani dalle ere più svariate per massimizzare l’impatto del loro sound in fatto di carica e grandeur. Dagli Eighties arrivano i pad sintetici e i colpi roboanti del gated drum; dai decenni successivi la scansione boom-bap e l’uso/abuso dei riser di stampo danzereccio.
Ma c’è anche molto degli anni Settanta, e i primi brani mostrano in modo chiaro l’attenzione alla muscolarità e ai riff da acchiappo, che deve molto all’arena rock/Aor ma anche a quel al power-pop che forse proprio in quel periodo ha messo a punto la sua immediatezza. Un legame più recente, invece, è quello tra svariati nomi e quella corrente di pop corale che negli anni precedenti aveva attraversato la galassia indie: non è raro incontrare, soprattutto nella seconda parte di questa playlist, progressioni acustiche che vanno dal piano al fortissimo, ritornelli coinvolgenti che sparano a mille il feeling “comunitario”, armonie vocali essenziali ma ben in vista e accordi tranquillamente riproponibili in veste “da spiaggia”.
Quale che sia il taglio — più votato all’Aor (o perfino a incursioni heartland rock), all’hip-hop/electropop, o all’indie-folk — un elemento è centrale in quasi tutti i brani: il carattere trascinante delle costruzioni ritmiche. Drum roll e tambureggiamenti da banda al completo, cassa dritta ma condita di chitarrine folk (Avicii insegna), incastri di percussioni e battimano che talvolta suonano audaci e altre semplicemente paraculi: l’enfasi su scansioni impetuose è ingrediente essenziale per l’efficacia del filone, ed è ben evidenziata dal nome scelto per indicarlo. L’onomatopeico “stomp”, infatti, indica un passo energico e cadenzato, senz’altro appariscente come appariscente è il sound di quella che, più smaliziatamente, qualcuno potrebbe definire bieca workout music.
Eppure, col suo eclettismo sfrontato e la capacità di affiancare mode del momento a immortali trucchi dal manuale del pop/rock, questa tendenza ha dato vita a un sound a modo suo enciclopedico; un fritto misto di influssi che suona come una controparte musicale delle serie blockbuster o dei vari Ready Player One, Ralph Spaccatutto, Guardiani della Galassia. Scintillante ma affidabile come un usato rimesso a nuovo, è un mix rischioso di conformismo e spacconeria, capace di infilare singoli da capogiro dentro album spesso anodini se non irritanti.
I nomi coinvolti vanno da figure con una certa credibilità indie (Florence + The Machine o Arcade Fire, questi ultimi in qualche modo "padri nobili" del filone e ritornatici proprio durante la stesura di questo articolo) ad artisti che molti appassionati di musica alternativa vedono come il fumo negli occhi (Imagine Dragons o Ed Sheeran). Talvolta, gli artisti sono i principali artefici del loro sound, altre invece i brani sono progettati da team di autori di grido. Per alcuni, poi, le sonorità stomp sono l'elemento cardine della proposta, mentre altri le hanno sfruttate solo per incursioni sporadiche — ma spesso decisamente iconiche. Sempre e comunque, la musica in questione si mantiene distinguibilmente bianca, nonostante gli occasionali featuring e l'esplicita ripresa di elementi black nella voce o nell'impostazione ritmica.
I brani scelti cercano di rispecchiare sia i tratti distintivi del filone sia la sua varietà; si tratta perlopiù di grandi successi con centinaia di milioni di streaming (per alcuni si può tranquillamente scomodare l'aggettivo "generazionale") ma tutti sono stati inseriti nella convinzione che si tratti prima di tutto di pezzi entusiasmanti. Gusti pessimi, qualcuno penserà, ma a ognuno il suo. D'altra parte, per aggiornare il proprio repertorio da doccia, Bastille e Killers sembrano un'opzione più credibile rispetto ai Fontaines Dc.