Tra magmatiche onde distorte, accarezzate da delicate chitarre, si annida un ticchettio che scandisce il ciclo di vita e morte sotto un cielo sconsolato. Attorno a quel medesimo ticchettio si congiungono gli strumenti dei Wilco e la voce di Jeff Tweedy per creare una di quelle magiche epifanie musicali di cui è disseminato il vasto catalogo della band statunitense. Nella desolazione "non c'è niente da osservare", certo, ma solo finché le note non conducono altrove, verso un lieve scintillio, un dissonante sfrigolio o un basso battito di grancassa che si accorda a quello del cuore. Ecco allora che la magia s'è compiuta e infiniti scorci di esistenze possono scorrere come fotogrammi davanti a noi.
Dolci, impreviste sorprese, come il brano che apre il tredicesimo disco in studio dei Wilco. Infatti, anche se riproduce quella forma di crescendo con climax graffiato da inserti rumoristici che Tweedy aveva inaugurato con "Misunderstood" e riproposto in oltre venticinque anni di attività fino al perfezionamento definitivo nelle performance dal vivo, "Infinite Surprise" è a tutti gli effetti qualcosa di inaspettato. Vuoi perché solo un anno fa la band aveva pubblicato un'imponente collezione di 21 brani in cui aveva rielaborato le radici country-folk del proprio songwriting; vuoi perché il rinnovamento della forma canzone tradizionale attuato dai Wilco è ancora oggi così naturalmente avvinghiato alla struttura stessa della composizione da riuscire a suscitare la medesima stupefatta estasi che nasceva, giusto per citare alcuni esempi, dalle storte dissonanze omicide di "Via Chicago" o, più recentemente, dalla progressiva stratificazione sonora di "Quiet Amplifier"".
A essere completamente differente rispetto a "Cruel Country" non è solo il macro-genere di riferimento - (alt-)country lì, indie-(folk)-rock qui - ma anche il processo di registrazione. Dopo anni i Wilco tornano ad affidarsi alla produzione di una persona esterna (non succedeva dai tempi di "A Ghost Is Born") e, pur non intervenendo direttamente nella fase di scrittura, Cate Le Bon impone al gruppo un deciso cambio di rotta. Abbandonato lo stile di incisione a "presa diretta" che aveva segnato la spontaneità e l'immediatezza del disco del 2022, ogni strumento è stato registrato separatamente seguendo, di volta in volta, le visioni dalla produttrice, avvalorate, ovviamente, dal sostegno di Tweedy. Una fitta stratificazione, a cui si aggiunge l'attenzione ai dettagli tipica della band, plasma così un ambiente sonoro denso, agrodolce e ricco di coloriture crepuscolari.
Da "Cruel Country" è però in parte mutuata la valenza politica del repertorio, particolarmente evidente nell'apatica disconnessione di "Ten Dead". "No more than ten dead", è quanto la radio annuncia dopo l'ennesimo mass shooting; ma il numero di morti non destabilizza più un'assurda assuefazione che viene avvolta dal vorticare sinistro della strumentazione della band. Anche il tema delle dinamiche relazionali, ampiamente scandagliato da Jeff nel corso degli anni, è riattualizzato al contesto sociale sempre più esasperatamente polarizzato negli States. E non è un caso che il disco sia stato intitolato "Cousin", come a esprimere l'anelito a un abbraccio di compassione e all'ascolto simpatico, al posto di quella stolida opposizione incapace di condurre a un dialogo funzionale che si ritrova proprio nella title track.
Le relazioni umane, anche nel corrispettivo sentimentale, sono quindi ancora una volta il tema principe della raccolta. Le love song, però, trattano di assenze, lontananze, instabilità e insicurezze. L'amore può essere ambiguo come nel folk in minore di "Levee", in cui peraltro sembrano baluginare anche i fantasmi della dipendenza da oppiacei analgesici di cui Tweedy è stato succube quasi vent'anni fa, o un ricordo notturno suscitato dal misterioso protrarsi di un arpeggiato acustico ("A Bowl And A Pudding"). Diverso è invece il discorso per il brano conclusivo. Sì, perché "Meant To Be" non è solo una delle più belle canzoni d'amore dei recenti Wilco, ma anche una gioiosa celebrazione che esplicita l'invito alla vicinanza sottointeso nel resto della raccolta.
Holding our hearts closer togetherIn "Cousin" la scrittura di Tweedy vuole dunque muovere la coscienza di chi ascolta a uno slancio di empatia verso il circostante e a ripensare le modalità di interazione con esso. L'intento del nuovo album dei Wilco non è però da ritenersi vitale solamente negli Stati Uniti, ma anche in ogni luogo dove violenza e/o indifferenza segnano la vita (e la morte) di esseri umani. Perché, in realtà, non si parla solo di mass shooting o di atti terroristici, ma anche di sistematiche rappresaglie da parte di regimi autoritari o, in maniera più vicina e tristemente familiare a noi, di quel grande cimitero blu che è diventato il Mediterraneo. "It's good to be alive, it's a good to know we die", canta Jeff Tweedy in "Inifinite Surprise" e di questa solo apparentemente banale forma di truismo sarà necessario ricordarsi nel futuro prossimo. Per questo, anche se non possiede l'impatto emozionale delle migliori raccolte dei Wilco, un disco così attento alle atmosfere e ai risvolti chiaroscurali dell'esistere come "Cousin" è da tenere stretto stretto al cuore.
Keeping to ourselves an empty sea
So we can believe
Our love is meant to be
01/10/2023