Re Mida Jack Antonoff sembra averci preso gusto. Molti dimenticano che prima di essere uno dei produttori più acclamati degli ultimi anni (dieci Grammy Award vinti a oggi in varie sezioni, nonché Golden Globe e altre numerose onorificenze), il buon Jack è innanzitutto un cantautore e un polistrumentista, che a cadenza piuttosto regolare riprende in mano il suo attuale progetto artistico personale.
Lasciate temporaneamente da parte le idee condivise per starlette del calibro di Taylor Swift, Lana Del Rey, Lorde, St. Vincent, Florence Welch, Antonoff si riaffaccia al pubblico con il quarto album dei Bleachers, a distanza di tre anni dal precedente “Take The Sadness Out Of Saturday Night”.
Il titolo omonimo a un album è solitamente conferito al debutto, oppure, se ciò accade in fasi cronologicamente successive, quando all’interno di esso è presente qualcosa di davvero personale, ed è proprio la seconda delle opzioni a verificarsi in questo caso. I Bleachers – meglio precisarlo - non sono solo Jack Antonoff, ma un connubio che coinvolge, tra gli altri, anche il suo omologo artistico Mikey Freedom Hart, affermato produttore (un Grammy anche per lui), autore e polistrumentista e i percussionisti Sean Hutchinson e Michael Riddleberger, oltre all’apporto dei sassofonisti (ottimi) Zem Audu ed Evan Smith.
I brani scritti da Antonoff trattano temi privati, tra loro opposti, quali amore, perdita, dolore, gratificazione e crescita, tutti concetti esposti a seguito di pensieri ed esperienze, traumi infantili e dirette vicende di vita coniugale. La morte della sorella minore per un cancro al cervello, avvenuta quando Jack aveva diciotto anni, ha segnato profondamente il suo intimo per moltissimo tempo, e solo grazie al matrimonio con l’attrice Margaret Qualley, avvenuto lo scorso anno, sembra che il dolore tremendo patito in quella circostanza sia stato canalizzato in un regime di maggior consapevolezza.
Anche dal punto di vista musicale emergono evidenti le fortissime influenze di ciò che ha costruito il Jack Antonoff artista: Springsteen, U2, gli elementi orchestrali tipici dei Fab4 sono situazioni che si palesano più volte lungo il percorso.
Le influenze folk-rock del Boss di Long Branch (anche Antonoff è del New Jersey) sono manifeste in episodi quali “I Am Right On Time”, nel singolo “Modern Girl”, in “Isimo” e in “Me Before You”, queste ultime con notevoli richiami anche agli U2 d’atmosfera. Alcuni echi del synth-pop anni 80 si svelano in “Tiny Moves” e “Call Me After Midnight”, anche grazie alle fluide oscillazioni del sax di Evan Smith, nonché in “Ordinary Heaven”, dal lontano aroma gabrieliano.
La comparsata dell’amata Lana Del Rey amplia lo scenario di “Alma Mater”, mentre “Woke Up Today” e “We’re Gonna Know Each Other Forever” vanno a occupare la quota ballad folk con alcune inserzioni di fiati, archi e tinteggiature elettroniche. “Hey Joe” non si discosta molto da quest’approccio, un passaggio che ha creato non poche riflessioni, riferite soprattutto a scoprire chi fosse la voce femminile (non accreditata) che duetta con Antonoff sul finale, da molti associata all’altra diva Taylor Swift, ma categoricamente smentita dallo stesso artista statunitense: chissà.
A differenza di quanto ci si possa attendere da un progetto che coinvolge Jack Antonoff, qui inserito anche nel ruolo cardine di autore principale e frontman, il nuovo album dei suoi Bleachers non passerà alla storia come prodotto particolarmente innovativo. Le numerose ascendenze che emergono dai solchi sono fin troppo palesi e, seppur ben amministrate, risultano, alla lunga, un po' stantie, soprattutto se si tiene conto delle oggettive capacità da grande fineur che il mega-produttore e arrangiatore statunitense ha espresso in questi anni.
Detto questo, l’ascolto di “Bleachers” risulta godibile: un disco ben suonato e arrangiato, dotato di un alto livello di eleganza e di intensità emotiva, specialmente nei testi autobiografici, qualità che oggigiorno non sono così facili da reperire.
14/03/2024