Nel fitto panorama musicale italiano, Cosmo rappresenta quasi un unicum.
L'altissima dose di coraggio, che ha sempre infuso nei suoi dischi e che ha sempre sfoggiato nelle esternazioni pubbliche, ha via via costruito la classica figura del personaggio divisivo, scomodo, ma che non ha mai avuto timore nel mettere sul piatto le proprie idee e le teorie che hanno edificato tutto il suo cammino. Una storia, la sua, che lo ha proiettato verso importanti successi artistici e ovviamente economici, che in molti avrebbero facilmente cavalcato, senza pensare nemmeno per un secondo a mettersi in gioco, come, a suo rischio e pericolo, lui continua a fare in ogni occasione.
Anche per "Sulle ali del cavallo bianco", Marco Jacopo Bianchi da Ivrea ha deciso di mettersi a nudo, sparigliando nuovamente le carte dopo i tumulti sociopolitici del precedente "La terza estate dell'amore" del 2021.
Quello che affiora dai solchi dell'ultimo lavoro è un Cosmo più sentimentale, introverso, più pop e anche più psichedelico di quanto gustato in passato.
Il quarantaduenne cantautore eporediese, laureato, professore, marito e padre di tre figli, non è mai stato parco nel fornire, all'interno delle sue opere, essenze personali, intime, della propria realtà, ma in questo profondo percorso, disteso su undici tracce, traspare in modo inequivocabile la voglia di lasciare il palcoscenico alle emozioni private, provando a mostrare, senza particolari indugi, chi è l'uomo prim'ancora dell'artista e in questo il titolo assegnato al disco è piuttosto emblematico.
Il cavallo bianco simboleggia, da sempre, la dignità, la purezza, la libertà, la rappresentanza di voler elevare l'uomo al mondo delle idee, verso confini inesplorati che spesso stridono con la realtà quotidiana: tutti fattori che Marco ha incastonato a suo modo nella costruzione di questa stretta narrazione.
La sua viscerale passione per le sonorità elettroniche resta indissolubilmente il caposaldo dell'itinerario, ma questa volta, e molto più che in passato, è palese la volontà di asciugare le molteplici sovrastrutture che lo hanno contraddistinto fin dagli albori, per ottenere un prodotto più scarno, paradossalmente minimale, che possa far risaltare con potenza i forti pensieri interiori espressi.
Il termine cantautorale non mi è mai piaciuto granché, ma è l'unico in grado di descrivere in modo sintetico alcune sfaccettature di questo album, soprattutto se si considerano i pirotecnici trascorsi estetici dell'artista: è come se un Battisti o un Dalla (cattedratici scomodati mantenendo doverosamente le congrue distanze) decidessero di vestire i propri brani con tessuti trance ed Edm.
L'opener "Come un angelo" è uno degli emblemi più chiari di quanto poc'anzi illustrato: un pianoforte minimale, che tra l'indulgenza del testo e le pulsazioni techno delle retrovie, crea una sensazione tanto alienante quanto seducente.
Le trame dub di "Gira che ti gira", le percussioni tribali di "Talponia" (termine colloquiale che identifica un edificio residenziale situato proprio a Ivrea, ex-porzione del sontuoso complesso Olivetti) e i tropicalismi sintetici di "E se" mostrano un Cosmo riconoscibilissimo, ma, come accennato in precedenza, volutamente spogliatosi della maggior parte degli adorati orpelli inseriti uno sull'altro, da grande appassionato e cultore di ogni tipologia di suono generato da strumenti e dispositivi vari. Il grande lavoro compiuto assieme ad Alessio Natalizia aka Not Waving è stato indirizzato proprio a raggiungere questo obiettivo.
Il singolo "Troppo forte" è un richiamo al Cosmo più canonico. Un brano potente, acido, sincopato, concluso da un sorprendente finale a tratti new age.
Le fasi più confidenziali si oppongono tra la leggiadria de "L'abbraccio" e la scomposizione continua di "Tutto un casino", un episodio che richiama il breakbeat suburbano dei Prodigy e che non fa nulla per celare un difficile momento personale.
Antagonismi di sonorità e contenuti che si amplificano in "Ho un'idea", con elettroniche che si avvicendano tra sequenze dilatate e aguzze inserzioni.
In "Momenti" si ragiona se sia giusto voler tornare a vivere le fasi più emotive e appassionanti del passato o far prevalere la coscienza che le fa volare via, nel ricordo, ma senza desiderio di rivincita.
Il disco si chiude con due dei passaggi migliori in scaletta. La title track è la cartina di tornasole che rappresenta la svolta totale perpetrata da Cosmo, l'avviso cardine che a livello stilistico e di pensiero si è concretizzato in tutti questi brani. Il sipario cala su "Il messaggio", un viaggio lisergico, probabilmente davvero provato, espanso all'unisono tra atmosfere ansiose e il veemente grido del ritorno tra i propri affetti, dopo un tragitto che aveva raggiunto i confini dell'immaginario. "Sulle ali del cavallo bianco" segna l'ennesima sterzata del cantautore e musicista piemontese e, con ogni probabilità seguendo la logica desunta dalle attività finora offerte, non sarà nemmeno l'ultima.
La volontà di scommettere con nuove dinamiche e rinnovati schemi, quasi sempre strettamente relazionati a situazioni personali, indica quanto in lui non esista alcun confine tra l'uomo e l'artista. Il tutto nasce dall'istinto, poi evidentemente canalizzato in modo organico, ma sempre seguendo la propria indole, con pochissime connessioni verso le tendenze del momento.
Cosmo è un professionista naif: un ossimoro per molti, un'assoluta concordanza per se stesso.
28/03/2024