Dopo sei anni di silenzio, la band di Portland avverte il bisogno di farsi risentire, e lo fa in modo forte e inequivocabile con l'album più lungo della sua discografia, equivalente a un doppio, se l'unità di misura è quella del vinile.
La via da seguire, dice il leader Colin Meloy, è stata quella dei grandi doppi che hanno fatto la storia, citando come esempio "Zen Arcade" degli Husker Du, in cui le quattro facciate sono caratterizzate da differenti mondi musicali per fare in modo che l'ascoltatore possa scegliere quale sentire a seconda del suo stato d'animo.
Quindi la carne al fuoco è tanta e tutta ben condita dall'arsenale di strumenti messi in campo (trombe, tromboni, flauti, banjo, steel guitar, fisarmoniche ecc.) e, visto che il tempo intercorso dall'ultima uscita è tutt'altro che breve, sono alte anche le aspettative sul ritorno di Meloy e soci. Solo il timore che la band che abbia perso il giusto compromesso tra il brillante songwriting e la spinta propulsiva degli ottimi polistrumentisti può frenare l'entusiasmo.
L'inizio sembra promettere fin troppa spensieratezza con l'ironica opening track "Burial Ground", che trasporta le armonizzazioni e i coretti dei Beach Boys tra le tombe di un cimitero, e con "Oh No", dalla ritmica latina, i fiati sbuffanti e le chitarre tremolanti alla Calexico invitate a un matrimonio in stile Emir Kusturica. Per fortuna il clima cambia con "Long White Veil", dove banjo e slide guitarsvelano una storia di lutto coniugale.
The Black Maria comes for us allLa parte centrale è illuminata dai momenti più toccanti: "The Black Maria" ha l'andamento dolente dei National e con un solenne strato di fiati richiama lo spettro delle ingiustizie giudiziarie (Black Maria è il veicolo destinato a condurre i galeotti verso le prigioni). "All I Want Is You" è una grande love songtutta giocata tra sottile ironia e pacata polemica.
Can't you hear their boots in the hall
Answer your name when they call
The Black Maria
All the United NationsDopo il gravoso impegno politico con il sostegno ai democratici degli anni passati, sfociato in brani come "Sixteen Military Wives" e "Severed", in "As It Ever Was, So It Will Be Again" la band di Portland vive un periodo di disincanto e disillusione che esprime in un altro picco della raccolta: "America Made Me", scintillante crescendo sixties guidato dal piano di Jenny Conlee per sostenere l'invettiva contro la madre patria cui si chiede solo un aiutino per continuare a dormire.
Couldn't feed my sensations
Half as well as how you do
When all I want is you
21/06/2024