Dua Lipa

Radical Optimism

2024 (Warner)
dance-pop, euro-house

Un tempo era il secondo difficile album a decretare quanto un dato musicista avesse la spina dorsale, la giusta caratura per poter cementare la propria carriera o sprofondare nell'infinito alveo delle one-hit wonder. Con l'imprevedibilità degli algoritmi e la soglia dell'attenzione sprofondata, il momento della fama può arrivare decisamente più tardi. Consolidarlo ancora più difficile. Certo, "New Rules" aveva segnato un punto d'inizio nell'ascesa di Dua Lipa, ma è stata la sfolgorante stagione di "Future Nostalgia" a lanciare davvero la musicista britannica nell'empireo delle popstar di peso, suggellando un triennio di successi che l'hanno rilanciata come inarrestabile diva dance. Chiuso il capitolo, e con una tie-in nella colonna sonora di "Barbie" a giungere come trascinante corollario, era il momento giusto per dare avvio a una nuova era. Le premesse erano quelle per una nuova svolta: la presenza di Kevin Parker e Danny L Harle alla produzione e i riferimenti a Primal Scream e Massive Attack lasciavano pregustare una sviata collaterale che si riallacciasse ai suoi esordi con uno sguardo più maturo e consapevole. Resta tutto nel campo delle ipotesi: pienamente in linea con la precedente stagione creativa, "Radical Optimism" si configura come una compatta esperienza dance, una sorta di lungo compendio a un corso creativo che non conosce proprio fine. A ballare si balla, eppure si fatica a nascondere qualche sbadiglio.

Non che il disco di per sé testimoni una caduta rovinosa: la competenza rimane intatta, le costruzioni mostrano una popstar pienamente presente a sé e al suo gioco. Sarà però perché manca la gloriosa euforia del precedente album, sarà che anche le coordinate produttive favoriscono atmosfere più cullanti e sospese (perfettamente in linea col percorso di Parker), ma nonostante la brevità, il fluire dell'album non mostra la tempra d'acciaio di "Future Nostalgia", l'inossidabilità di melodie pensate per dominare da subito la scena.
Già i singoli, per quanto scelti con cura, mancano del mordente necessario. Passi "Houdini", tra i tre quello che meglio approfitta delle scelte espanse della produzione per snocciolare un ritornello ipnotico come un mantra; "Training Season" si avvale di un ritornello enfatico, circondato però da strofe totalmente dispensabili, mentre "Illusion", per quanto meglio strutturata nel complesso, pesca troppo a piene mani dal repertorio di Kylie Minogue (il video girato nella stessa piscina che accolse quello di "Slow") e Sophie Ellis-Bextor per poter lasciare davvero il segno.

L'ottimismo radicale di Dua Lipa si manifesta insomma sonnacchioso, desidera essere chiaro e risolvere le proprie ambiguità ma lascia invece che serpeggino incontrollate, non senza risultati dignitosi (le aperture sixties di "End Of An Era", i tocchi indianeggianti di "French Exit"), più spesso però con un'incertezza di tratto che porta i brani a lambire pericolosamente lo streamingcore (l'Ava Max al rallentatore di "Whatcha Doing") o a darsi a un cosplay euro di poco peso (la via svedese di "Falling Forever").
Meglio, insomma, un momento scintillante che fa il filo alla Madonna folktronica di "American Life" ("Maria"), un passo che chiarisce bene quanto la allure psichedelica della produzione avrebbe potuto giovare di un approccio alla scrittura diverso, perché no vicino anche a territori power ballad, come quelli che lambisce la conclusiva "Happy For You".
In un assetto che ricorda però troppo l'album precedente, cadere in paragoni sfavorevoli è purtroppo inevitabile. Dua Lipa rimane certamente interprete e autrice capace di tirare fuori il meglio anche da momenti di stanchezza, ma questo cambio a metà del guado purtroppo convince meno del previsto.

14/05/2024

Tracklist

  1. End Of An Era
  2. Houdini
  3. Training Season
  4. These Walls
  5. Whatcha Doing
  6. French Exit
  7. Illusion
  8. Falling Forever
  9. Anything For Love
  10. Maria
  11. Happy For You





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