L'eleganza, quella vera, quando s’incontra manco si nota; facile dirigere l’attenzione verso qualcosa di più rumoroso e appariscente, soprattutto di questi tempi rapidi e ansiogeni. Ma, alla lunga, niente pareggia la soddifazione dell’andare a riscoprire la complessità che si celava dietro quell’apparente semplicità. È quel che si prova ascoltando “Fabiana Palladino”, un disco talmente ben calibrato tra forma ed emozione da suonare già come un classico.
Certo il retroscena famigliare dell’autrice in questione era favorevole; il padre Pino è tra i bassisti più celebrati della propria era, la madre Maz, ai tempi, lavorava come corista, e anche la sorella Giancarla appare tra il personale di questo album. C’è anche il fratello jazzista, Fabio, che ha seguito le orme paterne imbracciando lo stesso strumento – recentemente lo avevamo visto assieme a Yussef Dayes. Sembra di rivedere una versione aggiornata dei Clannad, insomma, con Fabiana nei panni di novella Enya in cerca della propria voce fuori dal coro. E come tale celebre collega, anche la giovane Palladino ha fatto tesoro dei mezzi e delle risorse a disposizione per affinare la propria arte in tutta calma.
Il segreto, peraltro, è semplice: una chiara e ordinata gestione melodica, sorretta da una sezione ritmica blues e funk, frizzanti chitarre pop-rock anni anni Ottanta, e lievi iniezioni di sintetizzatori a captare il gusto del moderno r&b. Sul tutto, un’interprete vocalmente empatica e pertinente ma rigorosamente parca di divismi, in possesso d’un afflato soulful spiccatamente femminile, pur austero e controllato – sovvengono alla mente colleghe quali Rosie Lowe e Charlotte Day Wilson, andando indietro nel tempo anche Kiki Dee e una giovane Sheena Easton prima della traversata dell’Atlantico. Il tema? Un’autobiografica storia d’amore, partita con ardore e naufragata con dolore, infine esorcizzata in forma canzone per potersi concedere al futuro – insomma, quanto di più classicamente “pop” si possa immaginare. Eppure, “Fabiana Palladino” è avvincente quanto un film.
Tra bassi pulsanti e coltellate d’archi sintetici alla Lisa Stansfield che respirano con l’avanzare delle battute, “Closer” attacca l’ascolto col senso d’urgenza tipico di chi sta sulle spine, un immersivo funk notturno che osserva in cagnesco i pericoli dell’attrazione ben sapendo di non potervi resistere a lungo: il brano ansima in superficie, ma lascia trasparire, tra le maglie sonore, un’insicurezza che presto andrà ripagata. Raddoppiando istintivamente batteria e drum machine, la successiva “Can You Look In The Mirror?” avanza gradassa e asettica al tempo stesso: l’autrice adesso è amareggiata ma ancora incaponita, lo specchio le rimanda indietro l’immagine sbiadita di un vecchio poster di Jody Watley da imitare per trovare il coraggio di uscire di casa. Segnali indicano che qualcosa è andato storto, come i lapilli di piano elettrico del singolo “I Can’t Dream Anymore”, una possente torch song di limpidi tormenti da novella Maria McKee: Fabiana non prende sonno, passa la notte a osservare la Luna in preda al tormento, avvolta da un impietoso alone giallo pallido.
Non va meglio durante il giorno; col cuore gonfio di nostalgia, “Give Me A Sign” è la più pertinente power ballad mai scritta, quel tratteggio di chitarra elettrica, sostenuto lungo tutto il brano a mo’ di ostinato, dona struttura e toglie il respiro, inscenando un massimalista tramonto rosso alla “Top Gun” – sono indescrivibili emozioni a fior di pelle.
Ma Fabiana è anche maestra nell’arte della sottigliezza. Costruita assieme a Jai Paul, col quale collabora sin dai primi singoli, “I Care” suona come i Cocteau Twins avvolti da smottamenti sintetici gospel-r&b, ma la chiave di volta del brano sta nell’indugio della programmazione ritmica, una propulsione al rallentatore che sovverte l’atmosfera fatata, lasciando l’autrice a reiterare, a vuoto, il proprio affetto con candore imbarazzante: molto probabilmente, le sue attenzioni erano maldirette già in partenza. È una sensazione che si avverte anche nello splendido singolo di lancio “Stay With Me Through The Night”, implorante piano-funk alla Carly Simon sul quale Fabiana, stilosa chanteuse d’altri tempi, srotola le proprie debolezze al microfono mentre accarezza la tastiera con mano pallida.
Ma la sequenza delle tracce è troppo ben studiata per farsi prevedibile. Ecco il frizzante pop-rock alla Pat Benatar dell’ansimante “Shoulda”, il brano più scoppiettante del lotto, che trascina giubbotti di pelle, dubbi e rimpianti fuori dalla testa dell’autrice e dentro le frequenze radio di tutta la nazione, perché la condivisione dei propri errori in amore è la vera forza catartica della musica pop. Invece si fa in un attimo a ricambiare scenario; sospinta da incalzanti pulsazioni electro, “Deeper” riparte alla carica, filtrando Yazoo e Sandra Cretu nella sensuale discoteca di Jessie Ware. Sono tornati i sintetizzatori; sulla crepitante “In The Fire”, striata di bamboo digitali e una linea di flauto, Fabiana intona il testo più amaro e doloroso della collezione, pur senza concedersi al melodramma fine a sé stesso – tra l’atmosfera asciutta e segreta, e una lampante somiglianza tematica tra le rispettive immagini di copertina, viene difficile non pensare a “Liquid Cool” della collega Nite Jewel.
Ed ecco l’empatica zampata finale, con la quale Fabiana finalmente concede che l’amore è finito ma il rancore è pure peggio, quindi tanto vale darsi un abbraccio e buona fortuna a te, amore che non sei mai stato: “Forever” scioglie gli intrecci dei Fleetwood Mac dentro agli accordi di Elton John, epurandone l’amarezza con la maturità – ma quei filamenti d’archi piangenti che s’appicciano ovunque non tradiscono forse il bisogno d’un ultimo bacio?
Dieci semplici canzoni pop, prodotte e arrangiate senza un capello fuori posto, ma sempre attente a non suonare scontate né melense: ci saranno milioni di album come questo, fatti di storie universali e melodie circolari, pronti per essere condivisi al momento opportuno con ognuno di noi. Eppure, da tale solida e collaudata manifattura, emerge un ascolto emotivo, a tratti nervoso, poi venato di nostalgia e opalescenti languori notturni. Perché il pop è una materia apparentemente semplice ma intangibile, ci vuole un certo gusto per eseguirlo a modo reiterando sul passato con un tocco nuovamente personale, più si va avanti col tempo, più difficile diventa misurarsi coi suoi vecchi classici. Ma nel nostro presente almeno, Fabiana Palladino ne è autrice e interprete di assoluta classe.
02/04/2024