Pino Palladino non ha mai avuto bisogno di scrivere il suo nome sulla copertina di un disco per diventare una leggenda. Il bassista gallese, turnista per Who, Phil Collins, Gary Numan, Paul Simon e grosso modo chiunque altro, ha alle spalle quarant'anni di carriera al top del suo strumento, ma non aveva mai rilasciato musica di cui risultasse esplicitamente come autore. Fino a quest'anno con "Notes With Attachements", cofirmato col produttore, polistrumentista e folksinger Blake Mills, già al fianco di Fiona Apple, Laura Marling, Perfume Genius, Lana Del Rey (e chi più ne ha più ne metta). Che aspettarsi da una coppia del genere, che ha lavorato virtualmente con tutti e attraversato, in decenni di attività, ogni genere e stile?
Di certo non un disco nu jazz. E non uno qualunque, ma una delle uscite più sul pezzo del momento rispetto alle costanti trasformazioni del genere. Con uno stile magmatico e sinuoso, e soventi sconfinamenti in sonorità distorte, melmose o trasfigurate, i musicisti incorporano nelle otto tracce del disco molteplici elementi chiave del groove jazztronico di questi anni: le movenze africaneggianti (in "Djurkel" e nel singolo "Ekuté"), il funk astratto misto wonky degli STUFF. ("Chris Dave", "Soundwalk", "Just Wrong"), le linee sguscianti e i layer effettistici di Otis Sandsjö ("Man From Molise"). Il tutto, mantenendo al centro la musica suonata: quella delle lunghe session in studio in cui gli spunti iniziali evolvono in live jam ricche di idee creative, poi rielaborate, raffinate, riprovate fino a distillarne composizioni che hanno la disinvoltura dell'improvvisazione e l'intenzionalità della musica assemblata con una digital audio workstation.
La fulminazione nu jazz di Palladino, per quanto inattesa, è tutto meno che un furbesco allineamento ai filoni che vanno per la maggiore. Il bassista ha conosciuto le musiche dell'Africa occidentale coi dischi Real World e sviluppato una sintonia coi suoi ritmi dopo un tour nella zona negli anni Novanta, accanto al cantante svizzero Stephan Eicher. L'arte del "playing behind", il suonare in subliminale ritardo rispetto ai quarti che scandiscono la battuta, l'ha appresa non da FlyLo ma direttamente dal mastermind della tecnica, D'Angelo, del quale è stato sessionman per i celebrati "Voodoo" (2000) e "Black Messiah" (2014). E l'approccio materico al sound dello strumento, attento a enfatizzare gli armonici e la gommosità dei timbri, è stato ciò che lo ha spinto ad avvicinarsi allo strumento da ragazzino, grazie a un concerto del folksinger Ralph McTell, accompagnato al contrabbasso da Danny Thompson in un locale del porto di Cardiff.
Il disco, insomma, suona al tempo stesso hip e ben radicato, personale e sfaccettato, fluido e ponderato. Parte significativa del merito la hanno i compagni di avventura: il sodale Blake Mills, ovviamente, ma anche i comprimari di gran livello portati in studio per iniziativa dell'uno o dell'altro cofirmatario del disco. Si piazzano in quota Mills il sassofonista Sam Gendel (suo frequente collaboratore nonché solista proprio in ambito wonky jazz), il violista Rob Moose e, guest star al violino in "Ekuté", Andrew Bird; il tastierista Larry Goldings e il batterista Chris Dave, invece, hanno da tempo un forte affiatamento con Palladino, che li ha voluti nell'album fin dalle primissime mosse.
Quanto al coprotagonista Blake Mills, va precisato che senza di lui l'intero progetto non avrebbe visto la luce. Sua è stata la proposta, maturata nel 2016 dopo una serie di galvanizzanti session per "Darkness And Light" di John Legend, di far convergere i tanti stimoli musicali accumulati da Palladino negli anni in un disegno (quasi) solistico. Per il resto, Mills suona un po' questo e un po' quello in diversi brani, ma soprattutto - svela Palladino in un'intervista a All About Jazz - ha avuto il fondamentale ruolo di incitare alla costante adozione di soluzioni originali, spingendo costantemente gli altri partecipanti in territori inattesi.
Emblematico l'esempio di "Man From Molise": nato come pezzo uptempo in metri variabili, ispirato alle complessità ritmiche e armoniche della musica del brasiliano Hermeto Pascoal, su proposta di Mills la band accetta di dimezzarne la velocità, uccidendone il groove per poi ricrearlo a passo ridotto attraverso una serie estenuante di tentativi in studio. È proprio durante la ricostruzione del mood del brano, che man mano si fa più "europeo" nella sua labirintica bradicardia, che Palladino inizia a riconoscere un'associazione caratteriale con la figura di suo padre, originario di Campobasso, e decide di dedicargli il pezzo.
Nonostante i natali britannici e le frequentazioni internazionali, Palladino vede sé stesso come italiano. La musica di "Notes With Attachments", d'altra parte, prende le mosse da stilemi black ma - come gran parte del nu jazz cui assomiglia per convergenza evolutiva - ne rappresenta un'elaborazione sostanzialmente bianca. La natura ibrida dell'ellepì e la sua caratura sono certificate anche dall'etichetta di uscita: la prestigiosa Impulse!, già casa di pesi massimi della storia del jazz e oggi alla ribalta con progetti di frontiera come Sons of Kemet e The Comet Is Coming.
Tante possono essere le ragioni per avvicinarsi al disco: i nomi coinvolti, il vasto ventaglio di ispirazioni, la prossimità stilistica con altre esperienze di spessore di questi anni. Quali che siano i moventi che lo motivano, l'ascolto potrà ad ogni nuova iterazione rivelare nuovi dettagli e aprire finestre verso territori musicali tutti da esplorare.
28/05/2021