Fa specie seguire le vicende artistiche di Francesca Bono da così tanti anni (quasi una quindicina, a spanne) e trovarsi a parlare di esordio. Eppure, in qualche modo, "Crumpled Canvas" lo è: per la prima volta l'artista bolognese si mette in gioco da sola - ma accompagnata da numerosi compagni di viaggio - e, dopo averci messo il cognome l'anno scorso nell'album "Suono in un tempo trasfigurato" scritto a quattro mani con Vittoria Burattini (disco del mese su OndaRock), a questo giro ci mette anche il nome di battesimo.
Siamo di fronte a un crocevia, un momento che rappresenta un punto sia di arrivo che, con ogni probabilità, di nuova partenza. Ciò che è certo è che Francesca in "Crumpled Canvas" mette dentro tutta sé stessa e il bagaglio di esperienze che si porta appresso dagli esordi con gli Ofeliadorme, band in qualche modo unica nel panorama indipendente italiano, forse anche per la sua intrinseca vocazione internazionale nel maneggiare l'oscura materia che sta a cavallo tra il pop raffinato e il rock meno irruente.
Qui, dicevamo, la Bono - che ha scritto i brani durante l'ottavo mese di gravidanza - sintetizza e rilegge le istanze del suo cammino musicale. La matrice dream-pop è evidente già nell'iniziale "Velvet Fingering Heart" e tutto il disco, prodotto da Mick Harvey, torna a giocare con sensazioni che sembrano galleggiare tra sogno e realtà, in balia di chiaroscuri che evocano fraseggi blues, come in una "Black Horse" che muta continuamente pelle o nel folk scarabocchiato di "Fracture".
Il contraltare elettronico - si ascolti "Bitten Tongue", uno dei vertici dell'opera - rimanda all'ultima esperienza discografica Bono/Burattini, che ha lasciato in eredità anche quella vocazione al minimalismo che fa stagliare ulteriormente quella voce tanto splendida quanto duttile che è ciò da cui tutto nasce e in cui tutto finisce.
26/11/2024