Gli Stick In The Wheel hanno il merito di essere riusciti nella difficile impresa di reinventare la musica folk senza affondare le mani nella natura antropologica, come ha fatto egregiamente Sam Lee, e senza ricorrere alla sagace sperimentazione di gruppi come Lankum e Landless.
Nicola Kearey e Ian Carter hanno sfigurato estetica ed etica della tradizione, con soluzioni free-form dove hip-hop, loop, spoken word e perfino autotune sono diventati protagonisti, nel riuscito tentativo di ricandidare la musica folk come espressione popolare.
Con “A Thousand Pokes”, gli Stick In The Wheel recuperano l’ardore degli esordi (la copertina rimanda graficamente all’esordio “From Here”), il progetto è ben lontano dalla provocazione elettronica con tanto di autotune a palla del mediocre “Tonebeds For Poetry” e dalle placide atmosfere di folktronica di “Perspective On Tradition”, le voci si sono liberate in parte delle deviazioni elettroniche, l’irriverenza e il dileggio si sono impossessati nuovamente della tradizione (“Watercress-o”), questa volta alterando il tutto con toni grevi e residui di drone music, restituendo alla musica folk il ruolo di voce degli oppressi.
Per nulla intimoriti dal mettere sullo stesso piano la festosa giga di “The Cramp”, e il cupo fragore industrial/dark di “Crystal Tears”, Nicola e Ian adottano sberleffo e tragedia come unici linguaggi espressivi che possono aver senso in questi anni di caos e follia.
Gli accordi ripetitivi di chitarra elettrica e l’ottusità ritmica dell’aspra “Back Of The Hatch”, il riff ossessivo e sbadatamente rock’n’roll gettato in pasto allo spoken word alla Kae Tempest disteso su una sacrilega ballata medievale (la title track) non lasciano spazio a dubbi o perplessità: gli Stick In The Wheel sono i menestrelli della decadenza, i fustigatori dei costumi che hanno portato il mondo occidentale verso l’autodistruzione.
Le ballate psych-folk non sono malinconiche ma funeste (“Burnt Walk”), le parole sono armi affilate che non conoscono il perdono (l’esemplare descrizione delle città in balia della criminalità di “Cracks”). Non c’è spazio per inutili speranze, in ”A Thousand Pokes”. E’ una musica folk ruvida, incerta, quella degli Stick In The Wheel. Una caustica descrizione di orrori e delitti quotidiani dove corruzione politica e opposizione popolare sembrano avere ancora un senso. E mentre la filastrocca con un tocco spagnoleggiante di “What Can The Matter Be?” racconta le imprese di un killer su commissione, il divertente stomp-jazz di “Can’t Stop” si tinge di umorismo noir nel descrivere disastrosi incidenti stradali, ennesima disobbedienza tematica che diversifica la musica della band da altre formazioni folk-rock.
Le pagine più delicate sono anche le più potenti dell’album: la straziante ballata a tempo di battito di mani “Burnt Walk” e la struggente atmosfera di “Lavender”, una canzone che parla di un vecchio venditore ambulante, sono intense e taglienti come una lama. Le canzoni degli Stick In The Wheel raccontano di reietti e vittime con un’intelligenza e una modernità che trovano perfetta esegesi nell’epica pagina finale di “Steals The Thief”, un canto funebre che l’uso del vocoder, il tocco psichedelico della chitarra e il rimbombo sordo dei tamburi trasfigurano in una ballata folk-noir postmoderna.
“A Thousand Pokes” è un disco che restituisce alla band ardore e irriverenza, un gradito ritorno alla forma per gli Stick In The Wheel.
12/12/2024