Finalmente qualcosa di nuovo dai Mars Volta. Ci avevano già provato, a esplorare territori non battuti, con la "svolta pop" del precedente album omonimo, il loro primo Lp post-reunion. Ma il risultato, pur se inatteso, difficilmente poteva suonare entusiasmante – specialmente ai fan storici che della band hanno sempre apprezzato soprattutto il carattere labirintico delle loro composizioni.
Con questo “Lucro sucio; Los ojos del vacío” (“Profitto sporco; Gli occhi del vuoto”), però, i terreni non sono incogniti soltanto per loro. La fusione di elettronica avvolgente e dedali progressivi proposta dall'album ha effettivamente caratteristiche inedite, che la rendono unica anche al di là della personalità sempre riconoscibile nella produzione del combo allargato.
I synth torbidi di “Cue The Sun” hanno un suono che era più facile attendersi da Alessandro Cortini nei Nine Inch Nails o dai Radiohead, ma una tensione melodica che è spigolosa e viscerale come ogni cosa prodotta da Rodríguez-López e Bixler-Zavala, e allontana il risultato da ogni prevedibilità. In “The Iron Rose” le texture sintetiche sono, se possibile, ancor più minacciose e mutevoli: una coltre glaciale, saturante e pervasiva che, a tratti, sembra liquefarsi in tempo reale. E le tastiere fluttuanti, penetranti, perlacee dominano anche la conclusiva “Lucro Sucio”, intrecciandosi ai movimenti jazzati del piano per dar forma a un intarsio eclettico e spaesante.
Pur trattandosi di un disco sorprendentemente quieto e morigerato per chi ha presenti i trascorsi della band, ci sono brani in cui i Mars Volta più incazzosi e ipercinetici tornano a leggersi in filigrana.
In “Reina Tormenta”, l’elettronica in primissimo piano non è un ostacolo ma uno slancio per reinventarsi la consueta fusion aliena di ritmi latini, traiettorie jazz-rock oblique e strofe enigmatiche, acutissime ed effettate.
E le trame da jazz psichedelico, costruite su bassi ipnotici e arpeggi di Rhodes, tornano protagoniste in “Celaje”, il cui flusso metamorfico ondeggia tra addensamenti e rarefazioni, fra svuotamenti bruschi e incursioni di organo, fiati, tappeti mellotroniani, batteria sovreccitata.
“Alba del orate”, a metà strada fra il vecchio e il nuovo, riassume forse meglio di tutte il senso della metamorfosi: una vecchia identità che riaffiora dentro una forma musicale tutta diversa, meno frenetica, ma altrettanto inquieta. Il brano rispolvera la chitarra – altrove quasi assente – facendone incontrare i toni più distorti con lo sfarfallio dei synth in detune. “Un disparo al vacío”, invece, delude un po’ le aspettative, giocando la carta dell’all-in afro-cubano, con un voltafaccia a pezzo inoltrato, troncando però le evoluzioni ritmiche di montuno e tumbao prima che possano esplodere in una nuova “L'Via L'Viaquez”.
“Lucro sucio; Los ojos del vacío” è un disco che riapre il cantiere creativo dei Mars Volta con più idee che certezze, ma finalmente senza filtri: frammentato, affascinante, in transito – e tanto più interessante proprio perché sembra ancora solo un primo passo.
20/04/2025