Come antichi viandanti catapultati nel presente, il chitarrista e cantante Mike Cranny (Firestations), il batterista Lewis Young (Leaf Library), il chitarrista Matt Ashton (Leaf Library), la violoncellista Hannah Reeves e la cantante Marlody incedono con passo lento ma deciso con un fantasioso progetto neo-folk intitolato Mirrored Daughters. Il collettivo musicale nutre la propria arte con riferimenti letterari colti, storie di luoghi campestri e riferimenti a oggetti del passato (come il lanthorn, un’antica lanterna greca), varcando i confini del tempo ed entrando con discrezione nelle pieghe della realtà contemporanea, evocando magie, incanti e visioni mistiche che possano alleviare sofferenze e inquietudini dell’uomo moderno.
La musica dei Mirrored Daughters esplora suoni e immagini in parte già noti e familiari ai cultori di band come Fairport Convention e Incredible String Band, ma anche a chi ha ripercorso la storia partendo dagli Espers o dalle Unthanks per approdare ai Mellow Candle e ai Pentangle. Ballate tanto diafane quanto avvolgenti e oniriche scivolano con poche incertezze e numerosi spunti che invitano a un riascolto non fugace, come il breve e struggente interludio strumentale di “The Ambresbury Daughter”, con synth e harmonium impegnati in un sublime dialogo.
La voce di Marlody conduce l’ascoltatore in luoghi remoti, dove la fragilità acustica e il tocco gentile di canto e strumenti hanno sembianze mutevoli che intercettano sia una mesta rinuncia che il desiderio di continuare a sognare (“City Song”), per poi proiettare le proprie visioni in un archetipo dream-pop (“Unreturning Sun”) dove convivono allegorie passate e angosciose riflessioni sul presente.
Sia il canto che il tessuto musicale godono di una versatilità che ne rafforza la potenza evocativa: le piacevoli assonanze folk-pop di “The New Design”, le sonorità carpite all’avanguardia più soft del rock anni 90 di “Waiting At The Water”, la suggestiva e mai enfatica atmosfera psichedelica e neoclassicheggiante di “An Open Door” sono deliziose pagine neo-folk che non sfigurano nel confronto con il passato e godono di una loro autonomia creativa.
Il debutto dei Mirrored Daughters è solo al primo acchito un disco ordinario: il suono di campane e campanelli che introduce l’album (“Mirror Descend”) è privo della sacralità passata, quello del sax che si insinua tra le poche fessure è il segnale di una rivoluzione agnostica, dove gli unici elementi sacri sono la natura e la sua realtà immanente.
Lo scricchiolio dell’elettronica e dei field recording di “Something Hollow”, la decisa incursione nella folktronica di “Decrowned” e l’evanescente liturgia quasi goth di “The Lanthorn Daughter” spostano ulteriormente l’asse verso una dimensione temporale indefinita, per molti versi simile ai primi album dei Low, chiave di lettura che sottolinea i tanti pregi e i pochissimi difetti di un esordio eccellente.
04/03/2025