Aimee Mann

Aimee Mann

Folk-pop al profumo di magnolia

Ex voce dei 'Til Tuesday, la bionda Aimee Mann si è ritagliata uno spazio importante nell'attuale scena rock femminile d'oltre Oceano, grazie alle sue composizioni delicate e malinconiche. Una lenta ascesa iniziata con la colonna sonora del film "Magnolia"

di Claudio Fabretti

La fascinosa Aimee Mann è da anni una delle cantautrici di punta della scena nordamericana. Nata a Richmond (Virginia) si trasferisce preso a Boston, dove studia alla Berklee School of Music e inizia presto la sua carriera, come bassista e cantante dei 'Til Tuesday. Tipica meteora degli anni 80, legata profondamente ai suoni del decennio, la band bostoniana combina le dolci ballate folk-rock di Rem e 10.000 Maniacs con un pizzico di energia preso in prestito dai Pretenders di Chrissie Hynde. Il loro esordio è l'album Voices Carry, forte del singolo omonimo - bissato dal più opaco "Love In A Vacuum".

È però con il successivo Welcome Home che arriva il successo mondiale, grazie alla trascinante "What About Love" e alla struggente "On Sunday", esempi di un tipico folk-pop anni Ottanta dalle melodie accattivanti.
Everything's Different Now del 1988 vira verso un rock cantautorale denso di malinconia, affrontando il tema della relazione sentimentale della Mann con Jules Shear ("Rip In Heaven", "J For Jules").

Aimee Mann - Til TuesdayMa la bionda Aimee si sente in grado di camminare da sola, e decide di abbandonare il pop gentile dei 'Til Tuesday per lanciarsi in una carriera solista il cui inizio si rivelerà non facile. Le serviranno tre anni per convincere i discografici a pubblicare il suo primo album, Whatever (1993). Un disco all'insegna di un pop d'autore fatto di vocalizzi eleganti e di canzoni intelligenti, nel solco del suo "padrino" Elvis Costello. Tra le canzoni svettano l'accusatoria "I Should've Known" e la riflessiva "4th Of July". Dietro le quinte, il lavoro dell'ex-Byrd Roger McGuinn e del chitarrista Jon Brion, che danno all'album un inconfondibile gusto Sixties.

Ingaggiata dalla Geffen, Aimee Mann torna con I'm With Stupid, prodotto ancora da Jon Brion. I brani adesso sono più intensi e drammatici, come "You Could Make A Killing" e "Ray". Ma la traccia trascinante dell'album è "That's Just What You Are" (con alla voce Chris Difford e Glenn Tilbrook degli Squeeze), che comparirà anche nella colonna sonora del serial tv "Melrose Place".

Il 1999 è un anno chiave per la cantautrice di Boston: nove sue canzoni entrano a far parte della colonna sonora del film "Magnolia" di Paul Thomas Anderson, Orso d'Oro al Festival di Berlino. Uno di questi brani, la stupenda ballata "Save Me", diventa una hit internazionale e le fa conquistare una nomination per il Grammy Award. Anderson paragona il ruolo della musica di Mann nel film a quello delle canzoni di Simon & Garfunkel nel "Laureato", e qualcuno azzarda che siano stati proprio gli struggenti brani di Aimee a ispirare lo script. "Non direi che la storia di Magnolia sia stata ispirata dalle mie canzoni - replica la cantautrice americana -. Direi piuttosto che il regista ascoltava spesso le mie canzoni, cosa che lo ha aiutato a mettere insieme il film. Essendo buoni amici, ci capitava di chiacchierare della storia che stava sviluppando, ma non ero mai consapevole che le mie parole o le mie canzoni lo stessero ispirando a tal punto".

I brani di Magnolia mettono in luce una compositrice ormai matura e consapevole dei propri mezzi. Ma Mann è diventata anche una performer di classe, capace di mettere sul palco tutta la sua dolcezza e la sua energia nel tour del Lilith Fair. Così, il successivo Bachelor Nº 2 - Or, The Last Remains Of The Dodo segna un altro passo avanti nella sua carriera. L'album deve inizialmente uscire per la Geffen (poi rilevata dalla Interscope/Universal), ma la Mann non è tipo da accettare i diktat delle major: "Mi piace l'idea di essere una professionista della musica e di salvaguardare il mio lavoro attraverso un'etica ben precisa", racconta. Così il suo manager Michael Hausman (già batterista dei 'Til Tuesday) ne acquista il master e lo fa uscire negli Usa per la sua etichetta indipendente SuperEgo.

I tredici brani di Bachelor Nº 2 - Or, The Last Remains Of The Dodo ereditano molto dal patrimonio folk-rock americano: sono ampie ballate elettriche, fedeli a un'idea di canzone disillusa, dei piccoli "puzzle che celano messaggi segreti". "How Am I Different" è quasi un manifesto della sua personalità ribelle e inquieta, "Deathly" un apologo amaro dell'incomunicabilità tra uomo e donna ("Adesso che ti ho incontrato/ Avresti da obiettare/ Se non ci vedessimo mai più/ Perché non posso permettermi di scalarti/ Nessuno ha così tanto ego da spendere"), "Nothing Is Good Enough" è un valzer dalle tinte pastello, "Red Vines" è una malinconica melodia autunnale, mentre "The Fall Of The World's Own Optimist" (scritta insieme a Elvis Costello) sfoggia la classe di una chanteuse jazz. A confermare l'impressione che si tratti di un disco riuscito, anche il pop da camera di "Just Like Anyone" e l'emozionante "Calling It Quits". Le canzoni sono tutte scritte da Aimee e realizzate con il contributo di ospiti come Benmont Tench, Juliana Hatfield, Grant Lee Phillips e Brendan O'Brien.

Bachelor Nº 2 - Or, The Last Remains Of The Dodo segna un ulteriore allontanamento di Mann dallo standard pop dei 'Til Tuesday. "Quella è una musica a cui non faccio più riferimento - racconta - a parte forse il nostro ultimo album. Ci sono cantanti come Fiona Apple, che già a quindici anni sanno scrivere canzoni incredibilmente mature. Per quanto mi riguarda, allora, quando avevo vent'anni, stavo procedendo alla ricerca della mia vera identità. E questo implica aver cominciato con una musica commerciale. Ero affascinata da quel mondo un po' pazzo che erano gli anni Ottanta, i vestiti, il taglio dei capelli, ma col tempo arrivi a capire che la tua personalità è un'altra cosa. Eppure, il mio modo di scrivere canzoni è ancora legato alla musica che ascoltavo da ragazzina, e cioè Neil Young, i Beatles, i Badfinger, Elton John".

Il canzoniere di Aimee Mann è dolente e introspettivo, nella migliore tradizione delle songwriter d'oltre Oceano, da Joni Mitchell (della quale ricorda anche alcune "vette" vocali) a Suzanne Vega, da Laura Nyro a Tori Amos. Un flusso di emotività raro, capace di narrare i tumulti, le delusioni e le speranze di un rapporto di coppia. "A volte scrivi di una situazione dolorosa per sentirti meglio - spiega la cantautrice di Boston -. Non sento la necessità di scrivere una canzone per dire quanto mi senta bene, ho più la necessità di raccontare le cose che non vanno affatto bene". Tra queste, evidentemente, ci sono anche i rapporti con l'industria discografica. Una delle sue più recenti battaglie, infatti, è il boicottaggio di "The Ultimate Compilation", una raccolta pubblicata dalla sua vecchia etichetta (la Geffen), e che in realtà contiene più che altro scarti, demo e apparizioni radiofoniche di scarso valore. "Oggi ho la mia etichetta personale (SuperEgo Records) e il controllo totale della mia musica - spiega -. E' tutta un'altra cosa, che mi permette di fare finalmente questo lavoro nel modo migliore".

Aimee MannTutta l'eleganza e la delicatezza di Aimee Mann tornano nel pop-country d'autore di Lost In Space (2002). Undici canzoni dipinte con acquerelli a tinte pastello, ma con tratti decisi, che riescono a raccontare storie di droga ("High On Sunday 51"), di fallimenti ("Humpty Dumpty"), di richiami amorosi ("Pavlov's Bell") e di altre passioni, amori e tormenti descritti con grande sensibilità. I testi non sono propriamente romantici, ma virano spesso verso il dark - "canzoni oneste e sincere", spiega lei, "ma non fedeli descrizioni della mia vita vera: uso un codice che solo io conosco". Canzoni che funzionano, così come gli arrangiamenti, con una chitarra distorta che di tanto in tanto si insinua nei percorsi melodici per rendere più incisivi alcuni passaggi altrimenti lasciati sguarniti dalle parole, senza enfasi. Pur essendo di formazione una bassista, infatti, Aimee Mann teme che "una parte ritmica troppo in evidenza" possa oscurare "la forza di una canzone". Per questo forse dice di amare "il sound dei dischi dell'epoca, gli strumenti che escono in modo ben definito dalla cassa destra e dalla sinistra dell'amplificatore. In poche parole: il suono dei dischi dei Beatles!".

Tre anni dopo esce The Forgotten Arm (2005), un concept-album sulla storia di due amanti in fuga nel post-Vietnam: il reduce John, boxeur tossicodipendente, e la compagna Caroline, ragazza del Sud in cerca di evasione. La ricerca di sonorità seventies ha portato a un avvicendamento in cabina di produzione: al "barocco" John Brion, è subentrato Joe Henry, che ha cercato di ricreare un sound più vicino possibile alla dimensione live, affidandosi a una vera band. Mann firma tutte le canzoni, composte al piano (e non più alla chitarra) ed eseguite con piglio quasi boogie (Mott The Hoople è per sua ammissione uno dei riferimenti del disco, oltre ai vari The Band, Elton John e Rod Stewart targati 70). Anche la strumentazione è delle più sobrie: chitarre, basso, batteria, piano e un organo simil-Hammond.

Come spesso accade nei suoi dischi, Aimee Mann si gioca subito le carte migliori. Ecco allora l'incipit che più "southern" non si può di "Dear John", un limpido giro melodico, su cui si attorciglia la sua voce sensuale, sostenuta dal piano e da un bruciante assolo di chitarra. "King Of The Jailhouse", chiave di lettura dell'intera novella, è invece una ballatona delle sue, declamata in un registro sofferto alla Mitchell su un incedere solenne, scandito dai tamburi e dai rintocchi del piano. La felice vena melodica non si interrompe neanche con "Goodbye Caroline", altro volo radente di chitarre accompagnato da un piano honky-tonk e da un drumming asciutto, e con il singolo "Going Through The Motions", una delle sue classiche litanie vibranti che mirano dritto al cuore. Più cervellotico e "strutturato" nella narrazione rispetto ai lavori precedenti, il disco cala alla distanza, adagiandosi su un format di ballata alt-country-folk-pop un po' monocorde ("I Can't Get My Head Around It", "Little Bomb", "Clean Up For Christmas"). Scantonano dal copione la nenia esangue di "That's How I Knew This Story Would Break My Heart", cantilenata sulle trame vellutate del piano, e il commiato struggente di "Beautiful", scandito da accenti più rock ed esaltato dall'ennesimo saggio di bravura di Aimee al canto. Curiosità finale: il titolo dell'album, "Il braccio dimenticato", fa riferimento a una tecnica - il colpo che parte a sorpresa da dietro la schiena - propria del pugilato, lo sport a cui la bionda stangona della Virginia si è inopinatamente accostata.

Abbandonato per sempre il pop eighties e le acconciature glamour, l'ex-vocalist dei 'Til Tuesday ha ormai raggiunto una raffinatezza di scrittura ragguardevole e una capacità interpretativa degna delle migliori cantautrici contemporanee.

Nel 2006, Aimee Mann fa uscire persino una raccolta di canzoni di Natale, intitolata One More Drifter In The Snow.

Il successivo album in studio, dal curioso titolo di @#%&! Smilers (quale sarà mai la parola censurata?) presenta una manciata di canzoni semplici, oneste, che non propongono nulla di nuovo rispetto al passato, ma che in definitiva risultano meno "concettualmente" appesantite di quelle di The Forgotten Arm e meglio arrangiate di quelle di Lost In Space. Certo, rispetto agli ultimi lavori sono sparite le chitarre elettriche, rimpiazzate da tonnelate di synth, tastiere e (ovviamente) pianoforte (splendidi esempi a questo proposito l'iniziale "Freeway" o "31 Today"), ma per il resto c'è tutto quello che ci si aspetterebbe da un disco di Aimee Mann: gli arrangiamenti retrò e minimalisti a cui ci ha abituato Jon Brion, piacevoli marcette memori di Burt Bacharach ed Elvis Costello ("Ballantines", "It's Over"), e collaborazioni eccellenti (in questo caso con Grant-Lee Phillips nella dolce "True Believer").
Dopo essersi addirittura presentata alla Casa Bianca a suonare per Presidente e consorte – beh, sì, probabilmente le sue canzoni, un po’ come “Magnolia”, sono un perfetto altoparlante del mondo democratico – la Mann si presenta con il suo album tributo al “super-pop” degli anni 70 e 80. Un po’ Tom Petty, un po’ Supertramp, un po’ David Bowie, quindi; naturalmente sulla consueta base alt-country.
Mettetevi il cuore in pace: non ci sono grandi sensazioni, a eccezione – se per voi la può essere – della comparsata di James Mercer in una delle tracce (di certo non la migliore). La voce della Mann, suadente e saggia, è come sempre il punto di forza di canzoni fin troppo soffocate dalla sua intelligenza, più che dal prevedibile manierismo che può sopraggiungere dopo una carriera così lunga.

Una conversazione con una vecchia amica, con le sue nuove storie accadute nei quattro anni trascorsi da @#%&*! Smilers, questo è il valore del successivo album Charmer (2012). Ci si diverte, per un attimo, per un suo nuovo vezzo passeggero e inaudito, come la sovraproduzione (quella sì, molto Mercer-iana) e i sovra-arrangiamenti di pezzi come “Soon Enough”, quell’involarsi radiofonico delle armonizzazioni vocali di “Labrador”, l’effetto di synth-guitar della title track. Ma poi giunge il momento di salutarsi e, facendo il riassunto della giornata, si scopre che non è successo poi granché, negli ultimi anni.

La tourneé di Charmer fa nascere un'amicizia con il bravo chitarrista punk-rock Ted Leo, una collaborazione tanto spontanea quanto creativa che dà origine al progetto The Both.
Mettendo da parte le troppo raffinate atmosfere degli ultimi album, Mann riscopre il fascino del power-pop dei Db’s e dei Big Star, la passione per il pop-punk di Ted Leo è come adrenalina per Aimee, che con la sua sensualità funge da elemento catalizzatore per quello che senza alcun dubbio è il carnet più ricco e soddisfacente di due autori da molto tempo a questa parte. I riff di “The Prisoner” e di “The Gambler” swingano con delizia e quando arrivano le note delicate di “The Hummingbird” si può essere sicuri che il disco, pur con alcuni momenti di prevedibile mestiere e impasse offre 50 minuti di evasione intelligente e corroborante.
Molte delle canzoni sembrano comunque destinate a vivere una seconda vita nelle loro performance live, come “Milwaukee” e “Volunteers of America”, due episodi non particolarmente originali ma ricchi di buone intuizioni strumentali. Senza alcun dubbio sono le ballate up-tempo come “No Sir” e “You Can't Help Me Now” le tracce destinate a rinforzare il fascino di The Both, con quella leggiadra malinconia autunnale che non cede mai all’uggia, anche se con “Honesty Is No Excuse” i due aggiungono un brano importante alla loro discografia, un brano rock più articolato che si evolve su originali soluzioni ritmiche e robusti assolo di chitarra.
Quando la routine sembrava aver preso il posto dell'ispirazione, Aimee ha trovato ancora la forza e la classe per sorprenderci.

Abbandonate le pulsioni rock di Charmer e quelle più easy di The Both, la cantautrice della Virginia riprende il discorso interrotto cinque anni fa, recuperando le atmosfere più letterarie e quasi cinematografiche, che avevano impreziosito album come Lost In Space e Bachelor Nº 2 - Or, The Last Remains Of The Dodo.
Il nuovo album Mental Illness (2017) non risente delle pressioni dell'industria discografica, o di quelle logiche commerciali che avevano deviato in parte il tono indolente e malinconico delle creazioni della raffinata cantautrice della Virginia. “Ora che nessuno acquista più dischi posso fare quello che voglio”, ha dichiarato Aimee Mann in una recente intervista, ed è quello che accade nelle undici tracce dell’album, undici storie su quelle piccole e grandi follie quotidiane che spesso sono l’anticamera della depressione.
Confermato al banco di produzione per la quarta volta, Paul Bryan non è riuscito a tenere nascosta la sua passione per Nick Drake, ma alla fine ha prevalso un delicato country dai toni orchestrali più affine ai Carpenters, a Loggins & Messina, o ai Bread, quest'ultimi una delle grandi ispirazioni di Aimee Mann. 
Alla maniera dell’ultimo Father John Misty, Aimee Mann ritorna nei luoghi sotterranei dell’easy listening, regalandoci un piccolo gioiellino chamber-pop come “Knock It Off” e cesellando autentiche gemme come “Rollercoasters” e “Lies Of Summer”: due brani che evocano il Neil Young dei tempi di “Harvest” e “After The Gold Rush”.
Mental Illness sarà ricordato come il suo album più triste e introspettivo, infatti neanche la delicata melodia di “Goose Snow Cone” e il refrain più pop di “Patient Zero” (i due singoli) ne scalfiscono il tono greve e sofferto. Spetta a “Simple Fix” il compito di smuovere le acque, grazie a un incedere più sostenuto e a un originale tocco retrò. Mann mette a fuoco un’umanità in perenne bilico tra la menzogna e la follia, eppur in costante ricerca di attenzioni e affetti reali, quelli che traspaiono nell’autobiografica “Goose Snow Cone” e nella surreale “You Never Loved Me”. Ed è in questa costante ricerca delle più oscure logiche mentali che risiede il fascino di questo rientro in gran forma per la musicista americana, più attenta che mai alla veste sonora delle sue canzoni, al punto da citare le straordinarie orchestrazioni che Paul Buckmaster creò per l’album di Elton John “Madman Across The Water” nella conclusiva “Poor Judge”: una delle ballate più profonde e accorate che l’autrice abbia mai scritto.

Reduce dal ritrovato successo e da un Grammy Award per l’album Mental Illness, Aimee si ripresenta dopo quattro anni d’assenza, con un progetto ambizioso che funge da colonna sonora per un’opera teatrale che racconta il ricovero in un ospedale psichiatrico di Susanna Kaynes, un testo già oggetto di un adattamento cinematografico del 1999 con Winona Ryder, “Girl Interrupted”. Queens Of The Summer Hotel (2021) è un inconsueto album di chamber-pop, gli arrangiamenti d’archi di Paul Bryan assecondano la natura drammatico/sentimentale del progetto, tra ariose aperture orchestrali e introspettive performance vocali, mai fuori contesto nonostante l’evidente subalternità delle composizioni alla rappresentazione teatrale.
Mann si avvale di associazioni oniriche sia dal punto di vista del tratteggio dei personaggi che delle musiche che fanno da sfondo, flessibilità e malinconia si intercalano a tempo di valzer e atmosfere da musical, graziate dal tocco lieve e sapiente della scrittura. Non si azzardino i fan della musicista a cercare scampoli del consueto incipit power-pop del passato, il rischio è che trovino Queens Of The Summer Hotel addirittura narcolettico, anche se “Suicide Is Murder” rispetta le antiche movenze e cadenze stilistiche, e non mancano melodie che non faticano a guadagnarsi un posto di rilievo nel pur ricco canzoniere dell’autrice: il chamber-pop di “At The Frick Museum” e il delizioso tono vaudeville di “Give Me Fifteen”, l’incisiva “You Fall”, il romanticismo d’antan di “In Mexico” e il sapore dolceamaro di “I See You”.
La più placida e omogenea scrittura e il tono confidenziale dell’intera opera alla fine relegano il nuovo album ai margini della discografia, non perché manchi pathos e intensità, ma per la constante sensazione di essere al cospetto di una serie di canzoni  la cui sussistenza resta legata alla contestualità del progetto.

Contributi di Gabriele Guerra (Backstreets), Alex Poltronieri ("@#%&*! Smilers"), Lorenzo Righetto ("Charmer"), Gianfranco Marmoro ("The Both", "Mental Illness", "Queens Of The Summer Hotel")

Aimee Mann

Discografia

'TIL TUESDAY

Voices Carry (Epic, 1985)

6,5

Welcome Home (Epic, 1986)

7

Everything's Different Now (Epic, 1988)

6

Coming Up Close: A Retrospective (antologia, Epic, 1996)

AIMEE MANN

Whatever (Imago/Geffen, 1993)

6

I'm With Stupid (Geffen, 1995)

6

Magnolia: Music From the Motion Picture (Reprise, 1999)

8

Bachelor Nº 2 - Or, The Last Remains Of The Dodo (Superego, 2000)

8

Ultimate Collection (antologia, Hip-O, 2000)

Lost In Space (Superego, 2002)

7

Live At St. Ann's Warehouse (live, Superego, 2004)

The Forgotten Arm (Superego, 2005)

6,5

One More Drifter In The Snow (Superego, 2006)
@#%&! Smilers (Superego, 2008)

6,5

Charmer (Superego, 2012)

6

Mental Illness (Superego, 2017)7,5
Queens Of The Summer Hotel(Superego, 2021) 6,5
THE BOTH
The Both (Superego, 2014)7
Pietra miliare
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