The Desert Island Records

Autore: Stefano Isidoro Bianchi, Christian Zingales
Titolo: The Desert Island Records - I musicisti raccontano i loro dischi più amati
Editore: Tuttle edizioni
Pagine: 384
Prezzo: 17 euro

Il giochino dei “dischi dell’isola deserta” è uno dei tormentoni che da sempre avvincono (o affliggono, a seconda dei gusti) gli appassionati di musica. Un gioco, sì, ma spesso anche un espediente facile per ottenere preziose “dritte”, sempre più utili in tempi di bulimia musicale e di uscite discografiche a raffica. “The Desert Island Records” a cura di Stefano Isidoro Bianchi e Christian Zingales - rispettivamente direttore e firma di punta di "Blow Up" - ha tradotto l’idea in 384 pagine in cui 116 musicisti/gruppi di diverse estrazioni musicali e nazionalità rivelano i loro “dieci dischi dell’isola deserta”, quelli che porterebbero con sé in caso di soggiorno solitario in qualche atollo sperduto per un anno intero.

The Desert Island RecordsNiente album “seminali”, importanti o rivoluzionari, ma solo “i dischi del cuore”, quelli ai quali ci unisce un legame d’affetti e passioni inestricabile. Un po’ come quelli di cui disquisisce amabilmente Nick Hornby in “Alta fedeltà”, non a caso scelto come guest star d’eccezione del libro.
Ecco allora dipanarsi un groviglio di passioni, percorsi personali, intimi, e retroscena creativi. Con i musicisti negli inediti panni di recensori. E con più di una sorpresa.
Si scopre, ad esempio, che Francesco Bianconi dei Baustelle considera “Come è profondo il mare” di Lucio Dalla “l’album più bello della storia della musica italiana”, che “Hunky Dory” di David Bowie fa impazzire Carla Bozulich (“mi uccide”), che David Byrne conferma la sua passione per “Creuza de Ma” di De André, ma è diventato anche un fan degli Avion Travel, che Matt Elliott va in brodo di giuggiole quando ascolta Current 93 e Scott Walker, che Federico Fiumani dei Diaframma considera "Avalon" dei Roxy Music “il disco più elegante di tutti”, che Martin Gore dei Depeche Mode è un ammiratore di Elvis Presley e ritiene il suo “The Sun Sessions” il “primo disco di crossover della storia”. O, ancora, si viene a conoscenza della predilezione dei Matmos per i goticismi del “Desertshore” di Nico o delle “romantiche” affinità elettive di Jonathan Donahue (Mercury Rev) con “Lady In Satin” di Billie Holiday. E le rivelazioni non finiscono qui: lo sapevate che un punk nell'animo come Bob Mould (Husker Du) adorava le piece astrali di “Geogaddi” (Boards Of Canada) o che l'icastico Colin Newman dei Wire si commuoveva per l’Album Bianco dei Beatles?

Ora, però, meglio non anticipare troppo, e lasciare alla vostra curiosità di scoprire il resto. Perché, in fondo, cosa c’è di meglio di un consiglio su un musicista da parte di chi ha fatto della musica la sua vita? E anche se l’eventualità del naufragio alla Robinson Crusoe (o alla “Lost”, per restare in attualità) vi apparirà remota, ci sarà sempre l’occasione di scoprire su questa isola a portata di mano qualche “tesoro” nascosto.

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