Andai a vederli una sera che aprivano per gli Slaughter & The Dogs alla Salford Tech di Manchester. Erano davvero interessanti, nonostante la strumentazione piuttosto scarsa e una sala eccessivamente grande.
Erano diversi dal punk. Il suono era minimale e questo mi affascinava, una situazione ideale per qualsiasi produttore, soprattutto perché la band non se ne rendeva conto. The Factory Sample è stata la prima cosa che ho fatto con loro, subito dopo avere avuto in prestito per due settimane la nuova linea di delay AMS chiamata "Digital". Me l’aveva mandata il cielo.
(da un’intervista con Jon Savage, maggio 1989)

Nel 1978 il talento visionario di Martin "Zero" Hannett era decisamente superiore alla sua esperienza pratica, e contribuiva a definire la nozione di produttore creativo, interessato più a portare nuove idee alle band che a documentare quelle esistenti.
Era stato chiamato da Tony Wilson, il responsabile della neonata Factory Records, per diventare il supervisore artistico dell’etichetta e tenere a battesimo il contributo dei
Joy Division nella prima uscita ufficiale, il Factory Sample (gli altri gruppi coinvolti erano
Durutti Column, John Dowie e
Cabaret Voltaire).
Il titolo del primo dei due brani ("Digital") con cui Ian Curtis e soci apparivano sul Sample (pubblicato il 24 dicembre 1978) già faceva capire quanto Hannett e il suo giocattolo tecnologico influenzassero le scelte artistiche, in particolare deformando con un frigido
echo la voce di Curtis. L’altro contributo, "Glass", rappresentava invece un ponte tra il crudo materiale di scuola
Warsaw (la precedente incarnazione della band, a metà tra il punk e i
Black Sabbath) e il suono di là da venire di
"Unknown Pleasures". Hannett lo aveva usato come una palestra, nel tentativo di far emergere l’oscurità tra gli accordi di Sumner, il ritmo ansioso della sezione Hook/Morris e la voce baritonale di Curtis.
Da molti definito come maniacale, il comportamento di Hannett andava però di pari passo con la crescita della Factory, e si caratterizzava principalmente per i tentativi di far brillare questa promessa dell’industria discografica attraverso favori chiesti all’onnipresente signore di Manchester, Derek Brandwood (responsabile ufficio promozione della Rca,
ndr).
I Joy Division erano poco per volta diventati una delle band più accattivanti al di fuori del giro londinese, ma non avevano ancora registrato ufficialmente nemmeno un singolo. La prima vera proposta discografica fu in realtà della Genetic (legata contrattualmente a Radar records, sussidiaria della Wea) per conto del suo co-proprietario Martin Rushent, un produttore rispettato nella comunità punk, specialmente a Manchester, per il suo lavoro con Buzzcocks e Generation X. L’accordo non decollò mai, per motivi di
royalties; dei 15 brani registrati con Rushent (che di lì a poco sarebbe diventato l’
enfant prodige del synth-pop grazie al suo lavoro con gli
Human League), solo cinque finirono su un demo per la Genetic, poi i Joy Division tornarono alla Factory per proseguire nell’intento di mettere su nastro le frenetiche
performance su cui avevano costruito una reputazione modesta ma di grande impatto.
Ian Curtis in seguito ricordò: "C’è stato un momento in cui stavamo pensando di firmare con Genetic, ma non volevamo mettere fretta a nulla. Siamo andati a Londra per vedere che tipo di rapporto lavorativo avremmo avuto ma, a quel tempo, avevamo già accettato di fare il primo Lp con Factory"
Nei lussuosi Strawberry Studios a 36 tracce di Stockport (di proprietà dei
10cc), rivestito di dischi d'oro, Martin Hannett si trovò a lavorare su materiale emerso durante mesi di prove. Fu durante queste
session che la band sperimentò per la prima volta le profondità della personalità mercuriale di Martin Hannett, spesso aggravata dall’uso di droghe e/o in preda a iperattività impaziente e cerebrale. Il suo carattere poteva essere sopportabile per un singolo giorno di registrazione (come nel caso di "A Factory Sample"), ma questa volta si trattava di passare insieme quasi tre settimane (lo studio era prenotato per il periodo 1-17 aprile).
"Bernard e io eravamo due persone piuttosto alla mano", ricorda Peter Hook, "mentre lui sembrava venisse come da un altro pianeta. Era un
hippie davvero strano, che diceva cose che non avevano alcun senso, o almeno, io non ho mai saputo di cosa stesse parlando. Era solito dire a Rob (Gretton, il manager della band e co-fondatore della Factory,
ndr): 'Toglimi questi due stronzi di torno'. Nello studio noi ci sedevamo a sinistra, lui a destra, e quando provavamo ad accennare qualcosa del tipo 'Penso che le chitarre siano un po' troppo morbide, Martin', lui urlava 'Oh mio Dio! Perché non te ne vai, stupido ritardato!'. All'inizio andava bene, ma poco per volta la sua stranezza cominciò a peggiorare".
Qualche giorno dopo l’inizio delle registrazioni, Hannett fece smontare ogni singolo pezzo della batteria di Stephen Morris per andare alla ricerca di un suono che aveva in testa; la sua idea era quella di collegare l’audio delle singole tracce della batteria a uno speaker Auratone che giaceva appollaiato sul sedile di un piccolo bagno nel seminterrato, il tutto per rimuovere ogni traccia di riverbero.
Con quella tecnica (che pare facesse anche parte di un discutibile piano - insieme all'aria condizionata perennemente a palla - per destabilizzare la band e portarla fuori dalla sua comfort zone) era come se Morris fosse intrappolato dentro un unico microfono, quello che rimandava indietro i suoi colpi muti verso la magica scatola nera di Martin Hannett (il digital delay).
L’effetto non veniva usato come un vero e proprio ritardo udibile, ma utilizzato con il settaggio di un millisecondo, così attaccato al suono originale da risultare quasi impossibile da sentire.
Le linee di basso di Peter Hook venivano sottolineate nel mix grazie a un’esaltazione delle frequenze medio-alte, mentre il robusto suono a doppio humbucker della Gibson SG di Sumner veniva assottigliato per fare spazio alle parti vocali.
Era proprio questa la causa dell'insoddisfazione storica di Bernie: "Dal vivo la nostra musica era piuttosto rumorosa e pesante, invece Martin l’aveva decisamente attenuata, specialmente per quanto riguarda le chitarre. La produzione aveva inflitto questo oscuro mood al disco: noi avevamo pensato a una foto semplice, in bianco e nero, ma Martin l'aveva colorata a suo piacimento".
Il malcontento di Sumner e Hook nei confronti di Hannett era particolarmente apprezzabile su "Insight", enormemente depotenziata rispetto alla resa dal vivo (e persino rispetto alle Peel Sessions di gennaio). L'attenzione ossessiva per batteria, voce e rumori elettronici (e il conseguente ridimensionamento delle chitarre) riduceva una composizione originariamente movimentata a una nervosa ballad midtempo, ma per Hannett era una scelta naturale: "Le chitarre erano un problema solo in parte. Di fatto però arrivava sempre il momento in cui inducevano stanchezza nell'ascoltatore, più di ogni altra cosa. Quindi ne ho lasciate solo alcune".
La registrazione di "She's Lost Control" evocava invece una tensione di gran lunga superiore alla
demo originale, grazie a un suono di batteria compatto e agli effetti vocali (in parte anche vagamente dementi), ma nessuna delle due versioni arrivava al climax della progressione finale di accordi di Bernie dal vivo e, in ogni caso, anche il trattamento sul suono di Hook toglieva quella leggera distorsione del suo amplificatore necessaria per amalgamarsi correttamente al resto degli strumenti.
Tendenzialmente, i Joy Division si identificavano ancora con l'urgenza del punk, avendo visto di persona ogni gruppo della scena britannica della prima ondata ed essendosi esibiti con molti di loro. L'ossessione lungimirante di Hannett per il
delay digitale e le chitarre lontane creavano invece un suono troppo elaborato in studio, troppo vicino agli eccessi produttivi che la generazione punk stava ancora cercando di bruciare sul rogo.
Curtis, tuttavia, non disprezzava affatto il "trattamento Hannett".
Su "Disorder" e "Day Of The Lords" la sua voce era perfettamente in linea con la tavolozza sonica della canzone, una riproduzione per lo più realistica della loro esibizione
live, mentre su "Candidate" Hannett aveva aumentato gli acuti creando una gutturale timbrica piena di inflessioni sulle consonanti.
Hannett aveva preso l’oscuro rock and roll dei Joy Division e lo aveva indirizzato verso paesaggi sonori tipici di gruppi che Ian apprezzava molto (come
Throbbing Gristle e
Kraftwerk).
A dire il vero, le scelte di Martin avevano fatto parecchi proseliti, come affermò in seguito Sumner: "Eravamo piuttosto riluttanti nei confronti del nuovo suono, ma Rob Gretton lo amava, Tony Wilson lo amava, la stampa lo amava e il pubblico anche: eravamo solo noi, i poveri e stupidi musicisti che l’avevano scritto, a odiarlo. Così, abbiamo dovuto ingoiare il rospo e andare avanti".
Un po’ meno tranchant Morris, nonostante il suo contributo fosse stato pesantemente stravolto dalle tecniche di Hannett: "Beh, Martin ci ha insegnato comunque molto, ci ha aiutato a guardare la musica, le nostre canzoni e i nostri suoni in un modo completamente diverso. Prima avevamo una visione molto ristretta del tutto, l’unica cosa che sapevamo fare era entrare in sala e accendere gli amplificatori".
Ancora Sumner: "A Martin non fregava un cazzo di fare un disco pop. Tutto quello che voleva fare era sperimentare. Il suo atteggiamento era che tu prendevi un sacco di droghe, chiudevi la porta dello studio e rimanevi lì tutta la notte a vedere cosa ne sarebbe venuto fuori la mattina successiva. E continuavi a farlo finché non avevi finito. Ecco come sono stati fatti tutti i nostri dischi: noi eravamo fatti di speed (amfetamina, la droga preferita dai punk, ndr), lui era fatto di eroina."
La band sopportò le inesplicabili tecniche di registrazione di Martin, l'irrazionalità alimentata dalla droga e la personalità intrinsecamente abusiva per cinque giorni consecutivi, poi si trovò a combattere anche per poter presenziare alle operazioni di missaggio, che Hannett cercava di completare di nascosto pur di non avere nessuno tra i piedi.
Peter Hook: "La scena è stata stupida fin dall'inizio. Martin non ha mai capito che stava lavorando per noi. Lo stavamo pagando e quindi avrebbe dovuto fare il missaggio quando lo decidevamo noi... avrebbe dovuto fare quello che decidevamo noi in ogni momento".
Il punto di vista di Hannett era invece che la band aveva finito il budget a disposizione negli studios e che l’unico modo per completare decentemente il mix per lui era farlo in completa autonomia (fatto supportato dalla post-produzione e dal remix di "Walked In Line", che fu pubblicata su "Still" soltanto nel 1981).
Tony Wilson confermò che Hannett aveva inizialmente calcolato il costo di produzione del disco intorno a 5.000 sterline, ben al di sotto delle 12.000 poi spese effettivamente: "Ricordo che eravamo arrivati alla nona take di una registrazione e a un certo punto Martin dalla sala di controllo disse nel microfono: 'Ok. Questa deve essere l'ultima take. Dovete farla in fretta, ma la voglio più lenta'".
Ian aveva cominciato a manifestare i suoi attacchi epilettici non molto tempo prima che iniziassero le registrazioni, ma nessuno ritenne mai che ciò potesse influenzare il lavoro. Nessuno poteva lontanamente immaginare che ci fosse anche un problema di effetti collaterali legati alle medicine che Curtis doveva prendere.
Wilson: "Non ci siamo affatto resi conto della situazione. Tutto sembrava procedere serenamente. Inoltre, il grosso malinteso sui Joy Division era che fossero un gruppo di persone infelici, mentre erano l’esatto contrario. Erano la più grande e divertente band con cui avessi mai lavorato. Anche durante la registrazione di un album come 'Unknown Pleasures', la loro attività preferita era quella di farsi scherzi a vicenda, la musica veniva dopo."
Il disco uscì il 15 giugno 1979 e, nonostante le incoraggianti 10.000 copie vendute in poche settimane, fallì decisamente nell’impresa di arrivare alto in classifica.
Peter Hook: "Al Good Mood Club di Halifax il pubblico era composto da una persona sola, che se ne andò dopo due pezzi. Sembrava che stessimo solo perdendo il nostro tempo e che a nessuno interessasse davvero ascoltarci". Dopo alcune session interrotte ai Central Sound Studios di Manchester, Martin Hannett e Joy Division si ritirarono nuovamente agli Strawberry per registrare ciò che molti considerano, non a torto, il loro momento decisivo, "Transmission". Si trattava certamente del brano più accessibile del loro repertorio, e la decisione di farlo uscire come singolo fu presa dopo aver visto l’effetto sul pubblico in occasione della prima esecuzione live. "Transmission" uscì il 7 ottobre e ottenne finalmente il meritato riscontro, riportando in un certo senso in vita anche "Unknown Pleasures", che aveva smesso di comparire nelle classifiche di vendita e le cui copie stavano ingombrando sia gli uffici della Factory sia l’appartamento del co-fondatore Alan Erasmus.
Il passaparola incessante, corroborato da recensioni quasi esclusivamente positive, e la crescente fama di Curtis (indicato come attrazione da non perdere), fecero fare il salto a una band e a un disco che si rivelarono da subito fondamentali per tutto il movimento post-punk.
Si può discutere se l’accanimento di Martin in studio fu lecito o meno, soprattutto dal punto di vista delle aspettative del gruppo, sfrattato dalla pozza delle sue convinzioni iniziali e spinto senza mezzi termini giù per lo scivolo dell’
acquapark Hannett, ma è necessario essere onesti sui risultati raggiunti dal produttore in termini di impatto e capacità nel creare nuovi modelli di riferimento. Senza di lui, i Joy Division non sarebbero mai stati quelli che tutti abbiamo imparato ad amare. Restò saldamente al timone delle scelte produttive della band anche nelle successive uscite discografiche (la seconda prova "Closer", le raccolte postume "Still" e "Substance"), e trovò poi ulteriori spazi di affermazione personale lavorando con
Magazine,
Psychedelic Furs,
A Certain Ratio,
New Order, Stone Roses,
Happy Mondays.
Morì di infarto nel 1991, a soli 43 anni, dopo una prolungata relazione con le droghe, lasciando un’eredità in termini stilistici tanto evidente quanto sfrontata, tanto veloce a imporsi quanto restìa a scomparire.
Da un’intervista con Jon Savage, maggio 1989
Il grande successo dei Joy Division ha cambiato tutto? Hai cominciato a ricevere più offerte di lavoro?
Non proprio, perché comunque non mi muovo da Manchester. Sono stato inizialmente piuttosto corteggiato dalle case discografiche, ma poi ho smesso di pensarci. Non ho mai pensato di fare qualcosa che non mi andava di fare.
I Joy Division erano speciali, vero? Ian sul palco era totalmente...
Posseduto. Sono stato io a dire "toccato dalla mano di Dio" durante un’intervista a una rivista olandese. Ogni tanto qualcuno se ne ricorda.
Da dove veniva quella roba, era solo dentro di lui?
Ian era uno di quei canali per la Gestalt, una specie di parafulmine…
L'unico vero caso in cui mi sono imbattuto in quel periodo.