BIG CREAM - Creamy Tales (2016, MiaCameretta Records / More Letters Records)
90's alt-rock
Per tutti coloro che non possono sopravvivere senza l'alternative rock che colorò la prima parte degli anni 90, ecco un'uscita discografica che sarà senz'altro benvenuta. Un classico trio chitarra/ basso/ batteria, un esordio, un Ep, Jazzmaster come se piovesse, sei tracce, quando parte la prima, "What A Mess", veniamo subito catapultati dentro un album dei Dinosaur Jr. La successiva "Sleepy Cloud" ci porta certi aromi Nirvana uniti alle dissonanze poppy dei Pavement. "Slush" arriva persino a giocare con le modalità che resero grandi i My Bloody Valentine. Big Cream è il nome della band, "Creamy Tales" il titolo dell'Ep, bello come poteva esserlo l'esordio degli Yuck. Racconti tanto cremosi quanto un disco dei Sonic Youth. Il lavoro esce sotto forma di collaborazione fra due label, More Letters e MiaCameretta, la qualità è garantita (Claudio Lancia 7/10)
RICCARDO BELLINI - Felicità Market (2016, autoprodotto)
pop, songwriting
Ci era piaciuto l'Ep di esordio del milanese Riccardo Bellini, uscito nel 2012, quindi eravamo curiosi delle sue prossime mosse. Bellini ci ha messo un bel po' a tornare con il primo sforzo sulla lunga distanza, ma il risultato ripaga senz'altro la lunga attesa. I pregi che si rilevavano in quel debutto sono ancora tuti qui, ovvero la freschezza e la vitalità del suono e la capacità di valorizzare al meglio una genuina spontaneità. A essi si aggiungono una maggior varietà nei territori esplorati e una perizia negli arrangiamenti che non fa comunque mai venir meno il carattere pop della proposta. Tra il dolce crescendo di "L'Effetto Di Te", le atmosfere rarefatte di "Bianca", il tocco bossa di "Viaggia Verso Sud", i saliscendi di intensità in "Tutto Sembra Più Semplice" e altre piacevolezze sparse, il viaggio è di quelli che tengono sempre l'attenzione alta e danno un certo appagamento. Gli stesi pregi si possono riscontrare nei testi, per un lavoro che non fa mancare motivi di interesse per chi è appassionato di cantautorato pop (Stefano Bartolotta 7/10)
NA ISNA - Un dio furioso (2015, autoprodotto)
alt-rock
Na Isna è il nome con cui Marco Lodi tributa le sue origini (nativo della Guinea-Bissau) nel gruppo completato da Enrico Pasini, Luca Torreggiani e Enrico Mescoli, tutti di Modena e dintorni. Quello del debutto "Un dio furioso" è però un rock esistenziale tutto europeo di flussi di coscienza, monologhi e dialoghi arrangiati in tono crepuscolare (trombe e fiati, cori dimessi). Inizio e chiusa, "Canzone della torre più alta" e "Un flusso", si sfilacciano a poco a poco in rivoli di melodie corali e da camera. L'attacco morriconiano (strimpellio e fischiettio) di "Canto di migranti" si stempera in un bailamme di fiati e in un inciso neoclassico di piano. Il salmo a due voci con pianoforte di "Neri mai" e le armonie vocali francescane in "Stri-stri" convergono ancor più commosse nell'aurorale e diafana "Solleva il viso". "Il gobbetto del parco", una delle ballate più estese e schizofreniche, si spinge fino alla dissonanza, con un finale muro di fiati e distorsioni a mo' di zampognari. Uno dei primi album italiani che toccano, tra gli altri, anche i temi dell'immigrazione, e forse unico a farlo con eleganza, con equilibrio tra testi densi d'immagini e una quantità di raffinatezze che riescono ad allontanare la forma-canzone quel tanto che basta per mutarla in nevrosi, riflessione, denuncia. "Stri-stri" è basata su Zanzotto, "Canzone della torre più alta" su Rimbaud, "Il gobbetto del parco" su Dylan Thomas. Bravo Pasini multistrumentista. Già uscito in ghost-release nel 2014 (Michele Saran 6,5/10)
IO E LA TIGRE - 10 e 9 (2015, Garrincha)
punk, pop
IO e la TIGRE sono due, appena una batteria e una chitarra, ma in circa mezzora di "10 e 9" sfoderano una grinta invidiabile anche per una band con il doppio dei componenti. Dodici canzoni rapidissime - solo un paio superano i tre minuti - che esprimono un punk a tratti dolce ("Io e Il Mio Cane", "Lei Sa") e a tratti violento ("Povero Cristo"), mentre qualche intermezzo più etereo ("Lentamente") fa prendere un attimo di fiato tra una traccia e l'altra. Il tutto è permeato da una componente pop che non dispiace e il cui connubio col punk sta diventando il marchio di fabbrica di casa Garrincha (L'Orso, L'Officina della Camomilla). La coppia riesce a non far pesare per nulla la mancanza del basso: la batteria tiene un ritmo e violento per quasi tuta la durata del disco e la chitarra, spesso e volentieri distorta, riempie ogni spazio vuoto. Al resto ci pensa la voce delicata e con carattere di IO - sì, l'altro componente è TIGRE. L'atmosfera riprende abbastanza bene quella dei Prozac +, ma qui i testi parlano più che altro di rapporti e relazioni, amicizie e amori, abbandoni e ritrovamenti. Infine IO e la TIGRE sono anche un duo tutto femminile, ma questa informazione non è poi così rilevante (Alessandro Fiorito 6,5/10)
WEIRD BLACK - HY BRAZIL (2016, We Were Never Being Boring)
psych-pop
Che in Italia si stia radicando un rinnovato interesse per la scena psichedelica d'antan è un dato di fatto: l'interesse riscosso dal supergruppo Winstons è soltanto la punta di un iceberg che attraversa da Nord a Sud la nostra penisola. Un ulteriore dischetto che rafforza tale convinzione è l'ispirato esordio firmato dal combo psych-pop Weird Black. I ragazzi si infilano con capacità e buon gusto nella nicchia che attinge ai suoni di matrice sixties, strizzando non poco l'occhiolino alla scuola di Canterbury. Aromi folkye ("And You Are Lost") e tratti lisergici ("Day Is A Phobia") si insinuano un po' ovunque, ma ad un ascolto non distratto fra le pieghe dell'album emergono anche lievi spunti pre-glam ("All Lies Are True). "Hy Brazil" si impone come un lavoro che aspira a posizionarsi saggiamente fuori dal tempo, una ricetta che potrebbe preservarne il valore negli anni. Garantisce il marchio di qualità We Were Never Being Boring (Claudio Lancia 6,5/10)
FERMOIMMAGINE - Frammenti (2015, autoprodotto)
electro-wave, songwriting
Secondo disco per questo duo romagnolo, che si muove a metà strada tra un'attitudine cantautorale e uno stile con due componenti, una wave e l'altra electro, che puntano a integrarsi tra loro. Le dieci canzoni procedono tutte con un'andatura di media velocità, salvo l'ultimo brano in cui si rallenta, e con un suono che richiama alla mente ambientazioni di algida cupezza. Coerentemente, le melodie non sono particolarmente immediate ma allo stesso tempo risultano ben definite e il timbro vocale è misurato ma anche caldo, con un'intonazione quasi teatrale. L'ascolto è sempre interessante perché, nella sua semplicità di base, il disco riesce a non essere mai scontato, con arrangiamenti che non puntano certo sugli effetti speciali ma che hanno sempre il giusto dinamismo. Si potrebbe fare di più in fase di songwriting: le canzoni sono tutte solide ma nessuna è in grado di far saltare l'ascoltatore dalla sedia. In ogni caso si tratta di un buon lavoro e nulla vieta di pensare che, col tempo, ariverà anche una miglior ispirazione compositiva (Stefano Bartolotta 6,5/10)
I NASTRI - Cos'hai in mente? (2016, Costello's)
pop
Milanesi, Alessio "Bongi" Buongiorno, Roberto "Robe" Paladino e Federico "Fede" Marin danno vita a iNastri nel 2012. Il debutto "iNastri" (2013) è hi-fi pop tastieristico, a tratti progressivo e comunque baldanzoso, ben scritto, soprattutto ampio nella concezione (14 pezzi, alcuni solo vagamente interessati ai classici 3 minuti di strofa-ritornello). Il successivo "Cos'hai in mente?", riduce l'ambizione per rendere ancor più sintetico il sound. Così l'iniziale "Synthologia", pienamente illustrativa con i suoi intrecci di tastiere e una strofa fratturata (e una sottile pellicola di distorsione), rende un certo cubismo nel neo-soul, fregiandosi proprio della sua natura artificiale. La cosa seguita nel pop-rap molle ma nevrotico (e di nuovo tagliuzzato elettronicamente) di "Una cosa seria". Ancor più esemplificative del loro pop barocco sono "Non so scegliere" (piano classicheggiante, armonie vocali austere), "Sono sveglio" (coro meccanico, mellotron, chitarra jingle-jangle), e "Veramente" (convulso contrappunto electro-videogame e accordi estatici). Si distingue anche una ballata più semplice come "Il buio", ermetica e concisa da insegnare qualcosa ai Verdena. Una collezione, sciupata da serenate demodé (riempitivi), che si basa su produzione e missaggio lietamente godibili, opera di Edipo gomito a gomito con la band, che non soffocano timbriche miste e arrangiamenti mutanti (Michele Saran 6/10)
THE FLOATING ENSEMBLE - Soar (2016, Costello's)
folk-rock
Dopo un cambio di nome forse auspicabile (anche se "Tequila Funk Experience" dava il senso dell'ingenuità e dell'assoluta assenza di precostruzioni pseudoartistiche della band di Imola), i quattro ragazzi emiliani si ripresentano con un disco che conferma le loro velleità di "Fleet Foxes d'Italia", una bella premessa, soprattutto nel momento in cui i Fleet Foxes, con tutta probabilità, non sono più. Il titolo "Soar" inquadra lo spirito del disco che, con i suoi cambi armonici e le armonizzazioni vocali piene ("Looking Back"), incastonate in un contorno strumentale quasi cameristico e sicuramente "di respiro" in diversi passaggi, parla di un mondo "in maggiore". Uno spirito volitivo che si riflette nella dinamica spinta dei pezzi, che hanno dalla loro, se non idee originalissime, almeno un certo grado di urgenza ("Shining Days"), che si lascia andare nell'emo-pop di "Spark" e di "Sudden Flare". L'impressione generale, in assenza di una scrittura eccezionale, rasenta un po' lo sconclusionato (gli accessi "hard" di "The Winter Fire", i cori di "Samba"), mentre le alternanze di tempo diventano presto piuttosto scontate. Comunque un ascolto tutto sommato gradevole e senza grossi intoppi (Lorenzo Righetto 6/10)
ONO - Salsedine (2015, autoprodotto)
alt-rap
Quartetto di Forlì, Ono debutta con un Ep ("Santoni", 2014) e poi con il lungo "Salsedine". E' un combo (Cesare Barbieri, Edoardo e Lorenzo Gobbi, Mattia Santoni) che dimostra di saper manovrare tecniche miste e modi personali. Il preludio, "La musica elettronica", è un funky-disco retrò ma incalzante e affilato, persino psicologico. La voce di Barbieri, poi, si fa confidenziale ("Krauti a merenda", su soundscape malinconica e riverberata) o assaltante a mo' di hardcore ("Perec", primo singolo, e "L'infanzia e l'adolescenza di mio fratello, con una base jungle-videogame ben più nevrastenica). Due fantasie techno-rock allungate e quasi solo strumentali (appena qualche declamazione in stile Giovanni Ferretti) costituiscono invece il cuore dell'album, "Orbite" e la sua controparte dilatata e cacofonica, "Plutone", anche se di nuovo scossa dalla febbre della pista da ballo. Tutto capitombola in un finale di mezz'idee ridondanti e antiquate (con il punto basso dell'r'n'b "Bibiena 19"). Master di Roberto Rettura allo Studio Spaziale, artwork del blogger Francesco Farabegoli (Michele Saran 6/10)
PUBLIC RADAR - A New Sunrise (2015, RBL Music)
synth-pop
E' un'immersione nell'electro pop di matrice eighties quello contenuto nel primo album del trio romano Public Radar, formato da Francesco Conte (già chitarrista nei Klimt 1918), Massimiliano Alto (da anni noto doppiatore) e Andrew Mecoli (Growing Concern, Volume). "A New Sunrise" segue di quasi tre anni l'omonimo Ep d'esordio, e si pone come lavoro elegante e raffinato, non necessariamente indirizzato agli inguaribili nostalgici degli anni 80. Basterà socchiudere gli occhi per immaginare dietro "Standing On The Edge Of The Night" le tessiture synth di Vince Clarke epoca Yazoo, oppure per decifrare richiami alla Donna Summer di "I Feel Love" (e andiamo quindi ancora più indietro nel tempo) fra le spire di "No Music". Non mancano arrangiamenti decadenti ("Closure"), significativi spunti melodici ("Why Not Me?"), momenti più minimalisti ("Walk On The Light") ed espressi omaggi ai Depeche Mode più intensi ("You Don't Love"). Per chi ha trascorso l'adolescenza con l'italo disco di Gazebo e Creatures sarà senz'altro un gradito ritorno a casa (Claudio Lancia 6/10)