E’ piacevole l’attesa che ci separa dal prossimo lavoro degli Afterhours. Mentre la band a ranghi rinnovati in sala di registrazione avanza per passi verso il successore di “Padania”, i vari membri alimentano validissime operazioni parallele: il nuovo chitarrista Stefano Pilia in tempi recenti si è mosso fra Massimo Volume, carriera solista e Cagna Schiumante, in compagnia di Xabier Iriondo, il quale nel frattempo ha lanciato in orbita i gustosi progetti Todo Modo e Bunuel.
Manuel Agnelli, dal canto suo, sta programmando alcune uscite con Greg Dulli, l’amico d’oltreoceano, mentre il nuovo batterista Fabio Rondanini e il polistrumentista Rodrigo D’Erasmo sono sempre iper-impegnati in collaborazioni incrociate. Intanto l’istrionico Roberto Dell’Era, dopo due riuscitissimi album a proprio nome, unisce le forze con (l’ex-Afterhours) Enrico Gabrielli e Lino Gitto nel nuovo “supergruppo” The Winstons.
E davanti a noi si schiude un caleidoscopio di suoni che non ti aspetti, catapultato nel 2016 direttamente dai primi anni 70, neanche fossimo nella navicella di “Interstellar”, con dentro psichedelia, sixties pop, prog e scuola di Canterbury.
Le migliori portate sono distribuite nella parte centrale, a partire da quella “Play With The Rebels”, classico pezzo sixties oriented alla Dellera, che fa molto Beatles e avrebbe senz’altro dato spolvero al suo prossimo lavoro solista, e “…On A Dark Cloud”, una miscela altamente lisergica che centrifuga Pink Floyd e Flaming Lips, aperta da due minuti e mezzo di organo sapientemente manovrato da Gabrielli.
Con un menestrello come Enrico è facile vincere, fra tastiere vintage e trionfi di fiati che fanno declinare non di rado lo psych-rock dei Winstons in territori jazzy. Se poi dovesse servire qualche chitarra ben effettata, niente paura, ci pensa l’amico Xabier Iriondo.
“She’s My Face”, altra bella prova di Dell’Era alla voce, profuma di Doors fin nel midollo, mentre “A Reason For Goodbye” assume le sembianze di uno strano marchingegno in grado di fondere nello stesso nucleo i primi King Crimson con i Pink Floyd, e qui è sensazionale la prova cantata di Gitto.
Le altre tracce sono un contorno di tutto rispetto, con la qualità che si mantiene sempre altissima, dall’iniziale “Nicotine Freak”, che subito delinea alcuni fondamentali presupposti dell’opera, a “Diprotodon”, la quale spazia indisturbata dallo space-rock al jazz, da “Dancing In The Park With A Gun”, con una parte centrale che pare “rubata” agli Emerson, Lake & Palmer più rumoristi (ma se aguzzate le orecchie scorgerete anche una citazione di “Money”), alla strumentale “Viaggio nel suono a tre dimensioni”, dalla malinconica “Tarmac” alla conclusiva “Number Number”.
“The Winstons” è un disco gradevolissimo e dal tiro internazionale, una delle migliori prove finora realizzate da questi straordinari musicisti nei tanti progetti ai quali hanno fatto parte: qui mettono in risalto la grande capacità di ricreare certe atmosfere anni 60/70 in maniera moderna e personale.
Ma il trio non vuole appropriarsi indebitamente di nulla: fra i ringraziamenti scorgiamo i nomi di Roger Waters e Robert Wyatt, senz’altro fra i maggiori ispiratori dell’opera (assieme, fra gli altri, a Ray Manzarek e Greg Lake, oserei dire), una dovuta citazione che chiude il cerchio per quello che si impone come il miglior lavoro prodotto in Italia in questo primo stralcio di 2016.
08/01/2016