TEDIO - God (2017, autoprodotto)
alt-rock, garage-rock
È un trio stilisticamente variegato, quello dei romani Tedio: Dusty Cri (voce e chitarra elettrica) è stato attivo nella scena deep-techno come Dustywork e nel rock elettronico sperimentale con i Pura Neurosi, Alessandro C (voce, chitarra elettrica, basso) era invece il cantante dei Café Noir; entrambi fanno parte delle scorribande dream-surf firmate Martingala. Con l'ausilio della batteria di Simone Gerbasi hanno prodotto le sette tracce di "God", sulle quali, partendo da un immaginario post-grunge, innestano pennellate shoegaze ("About You") e scenari post-rock desertici ("Ghetto") con rigorosa estetica garage / lo-fi e i suoni non di rado in distorsione. Frammenti bucolico-acustici portano in dote le opportune discontinuità: le brevi "Both Collide" e "Definition Fading" potrebbero essere il frutto di una jam a spina staccata nel pollaio dei Verdena. Sei canzoni cantate in inglese e una (la conclusiva "Crocifisso giù") che mostra un convincente songwriting in italiano. Se avete amato tanto i Nirvana quanto gli Slint ma non potete vivere senza i saliscendi dei Mogwai e le asprezze chitarristiche del miglior rock alternativo di casa nostra, se non vi filate la musica troppo allineata, beh, questo progetto potrebbe davvero fare al caso vostro. È solo il disco d'esordio dei Tedio, ma i ragazzi hanno già le idee molto chiare (Claudio Lancia 7/10)ÆMRIS - Casi (2017, Variance)
ambient-techno
Già resident dj di successo presso il Kode_1, il giovane barese (nascita e base a Putignano) Antonello Trisolini diventa a tutti gli effetti producer a nome Æmris con il breve Lp "Casi". È un originale concept modellato sul peggioramento del quadro clinico di un paziente. La techno minimale di fluttuazioni oscure e cori ultraterreni in "Puri" ha troppe cose fuori posto, dal tempo irregolare anti-ballabile, all'assenza di una vera melodia, ai battiti fastidiosi, alla pletora di suoni naturali. Più che un pezzo d'elettronica sembra un cortocircuito, come se una presenza si fosse impossessata del mixer e l'avesse mandato in tilt. Più meccanica la traccia eponima, una colonna sonora John Carpenter-iana di un cyborg colto in una lunga agonia. Il comizio marziano di "Nameless" affonda le radici in un clima post-industriale opprimente, eppure baciato da uno scatto percussivo samba. "Demise" è il gran finale dalla spaventosa carica tribale, con droni dissonanti che imitano un didgeridoo aborigeno, sferragliando in più direzioni. Nell'illustre solco di Alio Die e Deca, una serie ben dosata di creazioni vibranti e scalpitanti, come organismi in un misterioso ciclo di vita, percorse da presagi sinistri. Due remix in aggiunta, "Nameless" (Vlaysin) e "Troath" (Scendedrone). Solo digitale (Michele Saran 7/10)LORENZO GIANNÌ - Gramigna (2017, Seahorse)
songwriter
Giovanissimo multistrumentista del siracusano, Lorenzo Giannì debutta con il calderone di "Gramigna", improntato a una forma tutta personale e insolita di coerenza. La ballata d'inizio "Deiezione" si migliora in nevrosi e cambi di tempo (con un bel finale acid-rock) nella traccia eponima, ed entrambe si risolvono nella filastrocca lo-fi de "Il ladro semplice", dominata dalle tastiere e dal battito disco-funk. Fanno da contraltare dapprima la ninnananna acustica decadente e lunare, più strumentale che cantata, di "Nave inverno", e poi la poesia d'amore in un vuoto d'arpeggio trascendente di "Tasche". "Tabucchi e tabaccheria" vi aggiunge una squisita andatura samba, ma il pezzo forte arriva con la formulaica, scandita, onomatopeica Talking Heads-iana "Marta", hit del disco. Vi sono i nèi dell'opera prima, specie nel canto insicuro - spesso infatti filtrato o sovrainciso - che avrebbe bisogno di qualche decibel in più per assumere carisma, e anche tutti i pregi: Giannì riversa senza pudori le proprie concezioni, dal gran lavorìo alle chitarre, alle liriche che descrivono un ciclo nichilista e un commentario sorprendentemente adulto, a due primizie strumentali, la pièce prog "Consonno" introdotta da una tetra fantasia militaresca, e l'informe polifonia elettronica in chiusa, "Never Care About John". Tutto insaporito dal solito destro Paolo Messere, produzione (Michele Saran 6,5/10)IL GRIDO – Il Grido (2017, Blond Records)
alt-rock
Post-grunge come se piovesse nell'omonimo disco d'esordio del quartetto romano Il Grido: undici tracce di grande impatto chitarristico con qualche influenza hardcore-punk. Storie metropolitane dense di malessere e disagio, grandinate di fuzz dalle chitarre di Giuseppe Di Bianca e Andra Jannicola, una sezione ritmica rovente che vede protagonisti Davide Costantini al basso e Lorenzo Pompili alla batteria. Un disco esplosivo sin dalla copertina che si rifà all'esperienza del miglior rock alternativo degli anni 90, in particolare non è difficile rintracciare evidenti tracce dei milanesi Ritmo Tribale (quelli di Edda, tanto per intenderci...). Prima di poter tirare il fiato si deve arrivare al brano n° 10, quando arriva l'epica ballad "Con un soffio". Qualcuno potrebbe considerarli poco personali, ma i quattro membri de Il Grido dimostrano una spiccata capacità nel riuscire a ricostruire con grande attenzione le atmosfere che delinearono il decennio musicale della Generazione X. In pista dal 2012 finalmente possono raccogliere le attenzioni che meritano, aspirando a una posizione di rilievo nella scena alt-rock italiana (Claudio Lancia 6,5/10)SERGIO BEERCOCK - Wollow (2017, 800A)
songwriter
Già con una carriera teatrale alle spalle, Sergio Beercock raccoglie le energie creative per catapultarle nel primo parto solista, "Wollow". Vi è qualche momento di timidezza, a partire proprio dall'attacco, il mottetto rinascimentale "Reason". Via via poi prende confidenza con le proprie potenzialità canore e di arrangiatore smaliziato, facendo avvertire nettamente l'influenza di Tim Buckley, non solo oleografica, ma anche come genuina ispirazione. "An Exaggerated Song" è una danza boliviana con qualche scampolo di pittura vocale, la ballata sia aurorale che crepuscolare di "Naked" procede svelta alla trasfigurazione (simile è "Beauty Of Dirt", ma con più baldanza), la relativamente free-form "Century" lancia una breve jam acustica. Il processo si spinge poi fino a partorire un momento quasi d'incubo, la tropicalia tribale di "Jester", insidiata da tastiere e sonagli. Primo tentativo di un artista mezzo siculo e mezzo inglese (una concessione alla musica d'Albione solo nella cover di "The Barley And The Rhye"), allieta caparbiamente, intenerisce, fa sognare e avvince perché sa piegare il folk alla scrittura personale, e viceversa, con acutezza. Buona la potenza d'ugola: ascoltare la reinterpretazione della difficile "Silencio" di Pedro Aznar in chiusa per credere. Tanto per calarlo nella contemporaneità, è un Erio meno marziano. Produzione un tantino facilona, diseguale (Michele Saran 6,5/10)LORENZO MASOTTO - Aeolian Processes (2017, Dronarivm)
neoclassical
Ormai divenuto compositore prolifico, l'ex-Maschere Di Clara Lorenzo Masotto appronta i seguiti di "Rule And Case" (2016) con l'Ep "Prime Numbers" (2016) e il nuovo album lungo "Aeolian Processes". Lo stile ora affonda a mani sicure nel minimalismo romantico, da brevi elegie al cosmo nello stile del Glass pianistico ("Arctic Summer", "Aeolian Processes"), ad andantini arpeggiati con contrappunti austeri di memoria Wim Mertens-iana ("Space Flowers", "When The City Sleeps"). Un'attenzione più particolare si riserva agli sfondi elettronici, bonsai che cambiano di momento in momento, di battuta in battuta: l'arabesco attutito nella cavatina di "A Tree In The Snow", il bubbolio insieme robotico e organico di "Geyser". Presa la giusta familiarità col procedimento, Masotto alza così il livello della dinamica, anche se solo in due casi. "Drone" è il tema più veemente del disco, e forse della sua carriera, accompagnato da una drum'n'bass talmente inudibile da divenire subliminale; e la placida e ambientale "Mountains" si permette un raro scatto di tempo, un'accensione virtuosistica quasi baroccheggiante. Elegantemente supportato dal master dell'iraniano sound-artist Porya Hatami, pecca nei pezzi lenti. Per il resto è un'opera a suo modo radicale, anche se non proprio compatta, più affocata e matura della precedente perché elide quell'eclettismo che sapeva d'indecisione, limitandosi a un dialogo tra un pianoforte composto e un'elettronica che echeggia il ciclo delle stagioni. A volte è semplice sovrapposizione, a volte è un balletto di leggiadria all'unisono, di evoluzioni che si compenetrano intimamente. Seguito dall'Ep "Mountain Paths" (2017), solo piano, registrato in un giorno (Michele Saran 6/10)MASSIMETTO - Lezioni d'inglese (2017, autoprodotto)
rock-blues
Massimo Centra nasce bassista e, dopo aver militato in alcune band di area blues della zona immediatamente a sud di Roma, nel 2013 ha firmato il proprio esordio solista con "Abbasso la musica", un album interamente strumentale. Il nuovo "Lezioni d'inglese" è il risultato dell'aggiunta di testi e melodie ad alcune tracce già edite, più nuove canzoni nate durante le session di registrazione. Sette brani scritti tutti da Massimetto (questo il suo nome d'arte), spesso con la collaborazione di Andrea Gregori, in passato leader e principale autore della rock band Godiva, che qui si è occupato anche di gran parte delle chitarre. "Lezioni d'inglese" mette in sequenza costruzioni tipicamente rock-blues (la title track) e decise virate funk ("Versati da bere"), rotonde ballad acustiche ("Davanti allo specchio balli") e decisive influenze mainstream-rock prossime al Vasco Rossi più recente ("Labbra blu"), senza mai tralasciare non solo un'innata attenzione agli aspetti pop, ma anche vaghi accenni swing e visioni vintage, dando vita a un disco semplice e diretto, con una solidissima base musicale. In fondo alla selezione la dolcissima "Primary Colours", brano scritto in inglese per un'amica che non c'è più, con protagonista la voce di Serena De Marchi (Claudio Lancia 6/10)ELLA - Dentro (2017, autoprodotto)
songwriter
A partire dall'Ep "Terapia d'urto" (2015), in cui ancora impersonava un immacolato ruolo di rocker che le derivava dalla sua esperienza di gruppo con gli Ella And The Knockers, la torinese Eleonora "Ella" Cappellutti realizza il primo album lungo "Dentro" come un progetto a due con il produttore Fabrizio Chiappello, responsabile della maggior parte dei rinnovati sabotaggi elettronici. Aperto e chiuso da due ballate folk-pop leggere leggere ancora tradizionali, "Quando io e te saremo grandi" e la superiore "Finché il vento soffierà", si procede con un paio di ballate pop per pianoforte febbricitanti e commosse, "Grattacielo" e "Come credere", la prima percorsa da un'elettricità d'organo, la seconda incalzata da tenaglie di distorsori. Si arriva quindi al cuore del disco e del procedimento con un trittico che comprende una cover delirante, o meglio un remix brutale e caotico, della "Cuore matto" di Ambrosino-Savio, un'esperienza esilarante, la danza maghreb a fuoco lento di "I tetti di Dakar" accarezzato sinuosamente dal proclama fantasma di Cappellutti, vero gioiello, e l'appena più sobria dedica amorosa di "Domenica", a sconfinare in un clavicembalo baroccheggiante. Registrato professionalmente con aiuti di una campagna di crowdfunding, vanta un corredo sonico articolato e miracolosamente raddensato che - prodigio - rispetta scrupolosamente le canzoni dell'autrice. Se il punto di vista è quello della musica leggera, gli si perdonano degenerazioni sanremesi ("Ho smesso di fumare") che vanno anche biecamente sul commerciale ("Dentro", "Giugno"), perché il suo bilico tra introversione, spesso commossa, e spettacolarità, talvolta furiosa, fa un boccone della media del pop da classifica, così come del radical chic di Levante e Maria Antonietta. Primo singolo: "Cuore matto", scelta affascinante (Michele Saran 6/10)CRANCHI - Spiegazioni improbabili (2017, New Model Label)
songwriter
Successore di "Non canto per cantare" (2015), il quarto "Spiegazioni improbabili" dei Cranchi comincia con un nuovo manifesto programmatico, "Spiegazioni improbabili sul metodo", stornello folk a fiume suonato solo a dodici corde e mandola, e appena due archi di contrappunto. Come un po' il resto del disco e della carriera, è una sintesi di De Gregori-De André-Guccini che tende al neutro, sia nel bene che nel male. Il risultato convince solo in parte. Si esce dal solipsismo con l'ancheggiante "Ferrara" vagamente sudamericana, guidata da violino e piano, con lo shuffle western di "Malabrocca", e ancora meglio con il duetto pianistico in tempo di valzer di "Anna". Sono tutti brani che cercano sempre una chiusa reboante che li elevi di status. Mancava il citazionismo a Paolo Conte? Arriva spedito con "L'amore è un treno", anche se canzonato da un ritornello-fanfara tex-mex variato di tempo e quasi dissonante. Due brani da consegnare alla sua carriera maggiore, "Anna" - dedicata a Bertha Pappenheim, seconda voce di Valentina Curti - e appunto "L'amore è un treno", co-scritta con Pierina Casagrande, tematiche che alternano sentimento a ritrattistica ("Malabrocca" è ispirata a "Coppi, Bartali, Carollo e Malabrocca" di Mazzi, ma è dedicata anche a sé stesso) senza mai davvero amalgamarsi tra loro, arrangiamenti che cercano la massima varietà possibile (Marco Malavasi, membro aggiunto) rimanendo nella timidezza, un range di stili che arriva a cercare il pop sintetico dei Magnetic Fields ("Fa un freddo che si muore"), ma fallendo per via della corta durata del disco. Prova più che altro di coerenza un po' fine a se stessa, un test per la tenuta del cantautorato vecchio stampo in opposizione alle nuove leve sbarazzine. Co-produzione con In The Bottle Records (Michele Saran 5,5/10)TARTAGE - My Personal Thoughts (2017, Qanat)
electronica
Lucio Giacalone, nascita e base a Palermo, da bassista di band sperimentali locali inizia a interessarsi di musica elettronica fino a partecipare a workshop e presenziare festival. Nella seconda metà dei 2000 la sua attività si concentra sulle sonorizzazioni per esposizioni fotografiche, cinema e sfilate di moda. Anni dopo, il breve "My Personal Thoughts", primo tentativo in proprio a nome Tartage, spartisce due terzi della sua durata con i featuring di due cantautori di ricerca: il berlinese Haas canta un paio di soulstep smorti e spogli ("Bloodline", "No Science") che non arrivano alla cadaverica essenzialità di Sohn, e il torinese Gionatan "Johnny Fishborn" Scali, interessante vocalist caducamente effemminato, dà quantomeno un'anima pop a "Empteen" e all'inferiore "The Other Life". Tutto parecchio dozzinale, si salvano giusto i momenti senza voce, una "Iris Love" più vicina a un rituale che a un pezzo da club, e un'analoga "Mashintosh" (co-scritta con Alessandro Lupo, anche produttore), un altro freddo jingle che fortunatamente si anima appena in tiepida danza tribale (Michele Saran 4,5/10)