Renato Zero

Un uomo da bruciare/ Madame

Renato Zero - "Un uomo da bruciare/ Madame"
(45 giri, 1976)

 

Non c’era bisogno dell’endorsement di Lucio Corsi per rivalutare l’impatto avuto dall’ineffabile Renato Fiacchini sulla musica italiana. Almeno per chi ha vissuto quell’autentica entrata a gamba tesa sulla morale dell’epoca che fu la sua irruzione sulle scene all’alba del decennio 70. “Il fatto che io fossi Bowie prima di lui lo sanno quelli che mi hanno frequentato a Piazza Navona”, esagera lui, da inveterato spaccone qual è da sempre. Senza voler arrivare a concedergli tanto, però, va ricordato che seppure, come dice lui, “in quegli anni quella ricerca edonistica, l'idea di rappresentarsi a 360 gradi, era nell'aria”, a piantare la bandierina per primo in Italia – almeno a livello mainstream – fu proprio lui. Con il suo travestitismo naif - un po’ guitto circense, un po’ drag queen - i suoi testi ambigui, ammiccanti e dissacranti, e le sue messe in scena trionfalmente kitsch, sospese in una impossibile “terra di mezzo” tra i teatrini off di Trastevere e il Rocky Horror Picture Show.
In quello scorcio di anni di piombo, Renato Zero era davvero “Un uomo da bruciare”, del tutto sconnesso da ogni canone nazionale, inclusi quelli dei ribelli istituzionali della generazione beat (ai quali, per certi versi, idealmente apparteneva, viste le sue frequentazioni del Piper Club) e dei complessi rock “capelloni” degli anni 70. E forse si è bruciato anche troppo in fretta, smarrendo quell’allure trasgressivo in favore di un più approccio più rassicurante e bonario. Quello che poi gli è valso il reclutamento di schiere di sorcini anche tra le masse anestetizzate dal tubo catodico di quella Rai che proprio lui avrebbe poi preso sapientemente per i fondelli (“Viva la Rai”, 1982).
Ma quando entrò in scena nei panni di quello sgraziato fricchettone, smilzo e truccatissimo, in piume di struzzo, paillettes e zatteroni, fu davvero, per qualche tempo, un’epifania glam sulle rive del Tevere, la visione più prossima all’alieno Ziggy Stardust apparsa alle nostre latitudini.

Dopo una infaticabile gavetta sul palco (anche nel musical “Hair”!), Zero pubblica due album di straniante cantautorato pop-rock (“No! Mamma, no!” del 1973 e “Invenzioni” dell’anno dopo), con testi ruvidi, scomodi, che affrontano temi come l’antimilitarismo (“Sergente no!”), l’oppressione del conformismo borghese e familiare (“Paleobarattolo”, “No! Mamma, no!”) e le violenze sui minori (“Qualcuno mi renda l'anima”). Canzoni viste ancora con sospetto dal grande pubblico, ma che iniziano a scavare una piccola breccia nell’indifferenza generale. Al punto che quando nel 1976 arriva un nuovo album, “Trapezio”, per la prima volta le porte delle classifiche si spalancano. E a scalare i gradini della hit parade, fino alla quindicesima posizione, sarà proprio questo 45 giri: “Madame/ Un uomo da bruciare”, che lo catapulterà finanche in gara al Festivalbar di quella estate.

Renato Zero - Un uomo da bruciare

 

Non è esattamente un caso. Perché oltre ad affinare il suo cantautorato in chiave più teatrale e melodica, Renato Zero trova in Ruggero Cini l’uomo della provvidenza. Il direttore d'orchestra toscano gli rivoluziona il sound e gli arrangiamenti, aprendogli la strada verso il grande successo. Rilevante anche l’apporto del gruppo che lo accompagna: Achille Oliva al basso, Carlo Giancamilli al piano e alle tastiere, Giancarlo De Matteis alle chitarre e Marco Pirisi alla batteria. Ma la parte del leone, la fa sempre lui, l’allampanato menestrello trasformista di via Ripetta, tramutato per l’occasione in uomo-sandwich, coperto solo dal cartello al collo, con improbabili calzini a righe sdruciti (e spaiati), un pezzo di pagnotta in mano e il resto appeso a un filo (poi vedremo il perché). Una copertina ironica e provocatoria, in linea con il testo della canzone. Accreditata a Zero assieme a Mogol (il cui contributo però risulterà quasi irrilevante) e Piero Pintucci, “Un uomo da bruciare” è infatti una sardonica parabola sulla lotta di classe, deformata dalla lente del glam trasteverino di Renato. Ma è una storia vera, anzi, verace, come i “due etti di prosciutto” del testo.

Mentre i suoi colleghi scrivevano di amori indefiniti o impossibili, di magliette fine e labbra da spedire a un indirizzo nuovo, lui, il Fiacchini, entrava nella bottega del droghiere. Per scavare nelle ansie e nelle speranze (vane) di un protagonista terribilmente umano: “Adesso che sei il garzone del droghiere, e con le mance in tasca sei un signore, a questo punto, puoi aspirare a tanto, anche a lei...”. Ovvero, l’illusione di una vita conforme alle aspettative sociali, vissuta “dietro un banco a costruire un avvenire che, le possa dare la sicurezza, un'auto, qualcosa da invidiare”.
Ma mentre al negozio si consumano conversazioni spassosamente surreali - “Due etti di prosciutto, sì, signora. È ancora a letto con la febbre, il suo bambino... Che peccato... Vuole anche il formaggino?” - la realtà affiora nella sua crudezza. La partner lo ricompenserà (“E lei ti premierà, offrendosi… con slancio e con amore”) per esser diventato “più forte, un uomo vero”, anche al cospetto della perfida madre (“quella strega, sempre uguale, con gli occhi da assassina, così venale”). Ma il prezzo da pagare si rivelerà insostenibile. Da qui, l’accorata esortazione finale: “Scappa! Fuggi! E salva qualche cosa in te! E non lasciarli fare. Non diventare, un uomo da bruciare”. Un inno alla libertà di essere sé stessi (“l’aria”, “il profumo di cose vere”) contro ogni convenzione: alcuni vi hanno letto un’esortazione a non rinunciare alla propria omosessualità per una vita sicura e più socialmente rassicurante, altri persino un pizzico di misoginia (con uno stereotipo della donna avida e dipendente). Ma il cuore del brano rimane il suo spirito anticonformista, con quella supplica finale disperata e teatralissima (ancor più in versione live). Perché Renato Zero non si risparmia di certo, con un cantato che può apparire a volte sopra le righe, ma è pur sempre stemperato dall’ironia, oltre che sorretto da un’ugola potentissima, perfettamente in linea con le esigenze melodrammatiche della pantomima da cabaret messa in scena.

Con il suo incedere sornione, quasi da music-hall, scandito dal piano, e la sua struggente apertura melodica, “Un uomo da bruciare” resta uno spicchio agre di piccole prospettive e grandi speranze quotidiane. Se ne ricorderà anche Nanni Moretti, che lo inserirà nel suo film “Sogni d'oro”, nella celebre scena in cui un catatonico Michele Apicella scorre gli appunti su un quaderno e, mentre si sta girando “La mamma di Freud”, alcune coppie iniziano a ballare. Zero, invece, lo riproporrà in più occasioni nelle scalette dei suoi concerti, spesso stravolgendolo nell'arrangiamento (come avverrà nel live "Icaro" del 1981).

Diverrà forse ancora più celebre il lato B, “Madame”, antipasto della travolgente disco-music di “Mi vendo” che varrà a Renato il grande successo. Un brano incalzante, con la sua cassa in quattro quarti, il basso pulsante di Mario Scotti in primo piano e tastiere un po’ alla Supertramp (peraltro coverizzati proprio sull’Lp “Trapezio”, con la loro “Dreamer” tradotta nell’incredibile “Sgualdrina”!).
“Madame” è il ritratto bislacco e affascinante di una figura femminile memorabile – ben diversa dalla sbiadita protagonista di “Un uomo da bruciare” - e di un amore che va oltre l’aspetto fisico, ma in realtà nasconde un bell’autoritratto: “Sono una rarità in tutta la città. Di mostri come me cerca in giro ma non ce n’è”. Zero ne pubblicherà una nuova versione nel 2013.

Un anno dopo, arriverà il trionfo di “Zerofobia”. E per il cantautore romano inizierà una carriera stellare, che lo renderà uno dei personaggi più amati in assoluto della canzone tricolore. Certo, l’ironia dissacrante e la verve trasgressiva resteranno a sorreggerlo solo per qualche anno, almeno fino all’inizio del decennio successivo, poi, il personaggio tenderà a normalizzarsi un po’, rifugiandosi nella nostalgia e nell’autoindulgenza. E perderà via via qualche fan della prim’ora, acquistando in compenso orde di nuovi “sorcini”, pronti a riempire i suoi sempre godibili concerti (qui un saggio recente).
Ma a noi piace ricordarlo così, nella versione dell’improbabile uomo-sandwich dilaniato dal dilemma esistenziale di “Un uomo da bruciare”. Con quell'accorato consiglio finale che, oggi come allora, resta ancora validissimo.

 

Adesso che sei il garzone del droghiere
E con le mance in tasca sei un signore
A questo punto puoi aspirare a tanto
Anche a lei
Sua madre, quella strega è sempre uguale
Con gli occhi da assassina così venale
Diventerà finalmente un po' cordiale
Ti sentirai più forte, un uomo vero
Parlando della casa da comprare
E già, e lei ti premierà offrendosi con slancio
L'avrai, l'avrai con slancio e con amore
L'avrai, ma tu non sai il prezzo che dovrai pagare
Scappa, fuggi e salva qualche cosa in te
E non lasciarli fare
Non diventare un uomo da bruciare
L'aria, l'aria che respiravi poco tempo fa
Ha ancora il suo profumo
Di cose vere, di cose pure, di libertà
Oh no, oh no, non domandarti dove, come
Come trascinerai la vita tua
Con chi, con chi cancellerai il tuo nome
Per chi?
Due etti di prosciutto
Sì, signora...
È ancora a letto con la febbre il suo bambino?
Che peccato, vuole anche il formaggino?
La vita dietro un banco a costruire
Un avvenire che le possa dare
La sicurezza, un'auto, qualcosa da invidiare
L'avrai
L'avrai, l'avrai con slancio e con amore
L'avrai, ma tu non sai il prezzo che dovrai pagare
Scappa, fuggi e salva qualche cosa in te
E non lasciarli fare
Non diventare un uomo da bruciare

20/04/2025



Discografia



Autori: Mogol/Pintucci-Renatozero
Produttori: Piero Pintucci
Etichetta: Rca
Pubblicazione: 1976
Durata: 3:46 - 3:39

Musicisti:

Renato Zero: voce
Achille Oliva: basso
Carlo Giancamili: piano
Giancarlo De Matteis: chitarre
Marco Pirisi: batteria
Rodolfo Bianchi: sax
Piero Pintucci: tastiere

Cover:

Ken Laszlo - Madame
(singolo, 1989)
Pietra miliare
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