California, 1967. Se la mente vi va subito a Jefferson Airplane, Doors, Mothers Of Invention, Quicksilver Messenger Service siete fuori strada, almeno per la durata di questa playlist. L'anno è quello, il luogo pure, le influenze (in parte) anche, ma i toni sono parecchio diversi: se il rock psichedelico della Summer Of Love è irruento, dilatato, beffardo, spesso oscuro o quantomeno inebriante, la sua controparte beneducata e pop è - nel limite del possibile per anni in cui tutto era a contatto con tutto - tutto il contrario. Il sunshine pop, questa l'espressione con cui a posteriori è stato etichettato lo stile, fa incontrare le intuizioni barocche di Beatles e Beach Boys con Burt Bacharach e la morbidezza dell'easy listening per dar vita a un suono un suono il più possibile radioso, rigoglioso, levigato fino a risultare zuccherino. Per di più, nonostante i frequenti riferimenti, gran parte degli esponenti non è affatto californiana.
Qualche pezzo lo conoscete di sicuro. Forse non si tratta dei più rappresentativi, ma i titoli sono celeberrimi: "California Dreamin'" e "Happy Together" sono simboli del big bang del pop fine-Sessanta tanto quanto "Light My Fire" e "Somebody To Love". E volendo già bastano per farsi un'idea degli ingredienti base della ricetta: melodie fenomenali, arrangiamenti allargati a tastiere, archi e fiati (ma integrandoli appieno nella composizione, evitando un'orchestralità stucchevole), ritmi che pescano dal pop-rock tanto quanto dal folk, dal jazz e perfino dalle marcette, armonie agrodolci e costellate di voltafaccia a ingresso sfuggente (cambi minore-maggiore, linee vocali che si intrecciano, accordi inattesi).
Gli appassionati del filone avranno ben presente altri pezzi grossi: Left Banke, Free Design, Harpers Bizarre, Eternity's Children. E soprattutto le band messe in piedi dal produttore e arrangiatore Curt Boettcher, Sagittarius e Millennium, emblematiche sia per il pessimo bilancio uscite/entrate ("Begin" dei Millenium fu all'epoca il disco più costoso mai prodotto dalla Columbia, nonché un flop commerciale terrificante) che per il loro attuale status di cult classic.
Alcuni autori solisti completano il cast dei nomi più celebrati: Van Dyke Parks, Margo Guryan, Roger Nichols e Paul Williams (la cui "Someday Man", scritta proprio con Nichols, fu incisa anche dai Monkees). Questi artisti portano, ciascuno a suo modo, una sensibilità intimistica e cantautorale all'interno di uno stile che è più spesso associato a forme corali, mettendo talvolta in evidenza quella vena malinconica che è in realtà sempre presente sotto i colori sgargianti degli arrangiamenti.
Fin qui, le inclusioni per così dire "obbligatorie" per inquadrare il filone. Ma una compilation non sarebbe soddisfacente senza qualche sorpresa, che possa essere di spunto anche per chi già si orienta bene fra i fondamentali. Ecco dunque un paio di scelte fuori dal coro: i Love (in genere accostati al versante più strettamente psichedelico del pop post-British Invasion) e il canadese Doug Randle, unica eccezione al vincolo autoimposto di concentrarsi solo sui nomi statunitensi (con buona pace dei britannici Honeybus, Herman's Hermits, Crazy Paving, Zombies). E poi qualche perla a rappresentare la natura più estrema della corrente, quella di capriccio di studio, esperimento anti-rock alla ricerca delle costruzioni più arzigogolate: "Love-in" e "A Whole Lot Of Rainbows" sono il prodotto di formazioni esistite solo per la durata delle registrazioni, guidate da produttori ambiziosi supportati da songwriter lasciati liberi di lanciarsi nei cambi di atmosfera più arditi.
Un'attenzione particolare è andata alla "coda lunga" del genere, spesso trascurata. Praticamente collassato sotto il suo stesso peso già sul finire degli anni Sessanta (i costi di produzione erano stellari, gli introiti tendenzialmente scarsi), il sunshine pop è stato per certi versi un precursore del progressive rock e, in senso più stretto, ha rappresentato una delle prime forme compiute di progressive pop post-Beatles. Le influenze dirette sono poco documentate, e forse anche improbabili, anche se è nota quella di "Walk Away Renée" dei Left Banke "More Than A Feeling" dei Boston; a volerle cercare, però, non mancano le forme di transizione dal canone sunshine pop verso un altro assai variegato. Smoke e Rain segnano una riconvergenza sonora con l'eredità psych-rock, puntando in una direzione decisamente affine al prog comunemente inteso; parzialmente assimilabili, i Gandalf scommettono più su leggiadria e grandeur che sugli incastri, anticipando West Coast sound e pomp-rock. Un discorso a sé meritano i Montage, coraggiosa avventura post-Left Banke di Michael Brown prima di darsi al power-pop con gli Stories: spingendo al massimo sulla sperimentazione armonica, pezzi come "Men Are Building Sand" sfidano la grazia tipica del genere con arrangiamenti che all'occasione rinunciano volontariamente all'intonazione.